domenica 31 gennaio 2016

La poesia della domenica - Francisco de Quevedo, Mirai le mura della patria mia ...

Mi chiedo spesso da quale sensibilità derivi l’intensa considerazione per la morte e l’effimero degli artisti barocchi spagnoli. Dalla sfiducia per materia propria al cristianesimo? Solo in parte. Basta leggere le poesie medioevali cristiane per accorgersi che la svalutazione del transeunte è solo il riflesso di una totale devozione all’oltremondano. In Quevedo si ha di più: quasi una resa al Fato incombente che tutto distrugge. Non sarà che al fondo dell’animo spagnolo permane una visione nordica, gotica dell’esistere? In fondo la Spagna fu dominata per secoli dai Goti (dal loro ramo occidentale, i Visigoti), quindi da una popolazione pagana, di ascendenze scandinave. Jorge Luis Borges (argentino e, perciò, spagnolo), proprio lui, prese sul serio questa cosa tanto da dedicarsi assiduamente allo studio della lirica nordica antica: l’Edda di Snorri, l’elegia pagana anglosassone, le saghe islandesi, le kenningar (cioè metafore: il fuoco era “il lupo dei rami”; una nave “il destriero delle onde”; il mare “strada dei cigni” et cetera).
L’elegia anglosassone, ad esempio, ci offre spesso delle vanitas, meditazioni sconsolate sull’uomo e sulle cose, ambedue destinati, ineluttabilmente, alla rovina. Ecco una composizione, che descrive le rovine dell’antica città di Bath:

Splendida è la muraglia di pietra, i fati la distrussero;
i forti edifici crollarono, e quest’opera
di giganti si sgretola. I tetti sono
caduti, e le torri in rovina, il portale
di tavole è infranto, e sulla calce
ora è soltanto il gelo, e le tettoie sono sbrecciate, frantumate …
là dove un tempo l’uomo
lieto di cuore e luccicante d’oro, stupendamente abbigliato,
orgoglioso e inebriato dal vino, splendeva nella sua
armatura e guardava i suoi tesori, argento e gemme strane,
le sue ricchezze e i suoi possessi, la pietra preziosa,
questa città lucente entro i suoi vasti domini.

Collegare l’occhialuto e atrabiliare Quevedo ai Visigoti può sembrare ben più d’un azzardo, ma ho visto contadini che zappavano e seminavano, inconsapevoli, secondo i dettami delle Georgiche.
È impossibile liberarsi del passato.


Mirai le mura della patria mia,
ben salde un tempo, e oggi sgretolate,
dalla furia del tempo devastate,
che ne ha stremato ogni valentia.

Uscito ai campi, vidi il sole bersi
i ruscelli formatisi dal gelo;
e i greggi si lagnavano del monte
che con l’ombra rubava luce al giorno.

Entrai nella mia casa, ed era sporca,
avanzo di decrepita dimora;
e più curvo il bastone e meno forte.

E vinta dall’età sentii la spada.
Non c’era cosa ove posare gli occhi
che non fosse ricordo della morte


da Sonetti amorosi e morali (traduzione di V. Bodini)
The ruin, da Poemi anglosassoni. VI-X secolo (traduzione di Roberto Sanesi)
Jorge Luis Borges, Letterature germaniche medioevali, 1989

sabato 30 gennaio 2016

Film che bisogna andarsi a cercare/1 (Non uccidere/Kuroneko/Zazie nel metrò/Hanno cambiato faccia/Harakiri)

G. Luca Chiovelli

Quattro di questi film non sono mai finiti in DVD. Il quinto - Zazie - è fuori catalogo. E poiché al cinema ci son discrete fesserie, che tra qualche anno svaporeranno via nell'indifferenza, sarebbe bene recuperare alla Vostra considerazione qualche titolo.
In altre parole: cercateli e guardateli.

Non uccidere (Tu ne tueras point), di Claude Autant-Lara
Francia, 1961, b/n.
Voto: 6,5
Int: Laurent Terzieff, Horst Frank, Mica Orlovic, Marijan Lovric, Suzanne Flon

Quali sono i limiti della coscienza? Non solo della coscienza che si rifiuta di uccidere in tempo di guerra, ma anche di quella che decide di non collaborare con le strutture militari in tempo di pace; in ossequio fermo alle proprie intime convinzioni. Il film è a tratti didascalico, ma la figura di Terzieff che, come il Michael Kohlhaas di Kleist, persegue le proprie idee a qualunque costo - e a dispetto di ogni compromesso - rimane nella memoria: la quieta ostinazione in un ideale che va condiviso sino alla rovina. 
E poi il dilemma centrale: se è vera la morale cristiana: "Non uccidere. Chi uccide sarà sottoposto a giudizio" perché in una società cristiana, quella francese in tal caso, avviene esattamente il contrario? Perché chi si rifiuta di servire la guerra in tempo di pace merita la condanna e chi ha ucciso in tempo di guerra no?

Kuroneko (Kuroneko), di Kaneto Shindô
Giappone, 1968, b/n.
Voto: 7
Int: Kichiemon Nakamura, Nobuko Otowa, Kiwako Taichi, Kei Satô, Taiji Tonoyama, Rokko Toura, Hideo Kanze, Hideaki Esumi, Masashi Oki

In un Giappone feudale dilaniato dalla guerra, alcuni ronin (samurai senza padrone) stuprano e uccidono due donne; i loro spiriti inquieti, però, simboleggiati da un gatto nero (Kuroneko, appunto), torneranno sulla terra a prendersi la vendetta. Il governatore della zona, per contrastare la maledizione, invierà il fidato veterano Gintoki: questi avrà una rivelazione amarissima.
Un bianco bianco e nero perfetto che, sotto le spoglie di una storia classica di fantasmi e vendette, cela una critica violenta all'organizzazione sociale del Giappone del tempo (in particolare alla casta dei samurai, vista quale accolita di sordidi gaglioffi e di criminali). Bellissima l'atmosfera notturna, sospesa e fluttuante come le vesti dei revenants femminili.

Zazie nel metrò (Zazie dans le metro), di Louis Malle.
Francia, 1960, col.
Voto: 8
Int: Catherine Demongeot, Philippe Noiret, Vittorio Caprioli, Jacques Dufilho

La piccola Zazie (la mamma è impegnata con l'amante) viene scaricata presso lo zio parigino: lei vuole assolutamente viaggiare in metrò, ma uno sciopero blocca il suo sogno. Questa la semplice miccia narrativa iniziale, svelta a innescare le decine di esplosioni slapstick del film: una vera sarabanda anarchica la cui gioia di vivere rimanda ai tempi del muto, il cinema innocente per eccellenza. Bravo Noiret, eccezionale Caprioli (esilarante il suo inseguimento a Zazie), irresistibile la Demongeot/Gian Burrasca: a volte ci si innamora di un personaggio e Zazie non posso che amarla con tutto il cuore. Memorabile la battuta finale alla mamma che le chiedeva cosa avesse fatto durante il suo soggiorno a Parigi: "Sono invecchiata". Una delle Bibbie della cinefilia francese. Da un romanzo di Raymond Queneau. 

mercoledì 27 gennaio 2016

Il prossimo libro del Gruppo di Lettura (Sabato 13 febbraio) sarà La Promessa  di Fredrich Dürrenmatt



sabato 23 gennaio 2016

La poesia della domenica - Canto funebre vichingo, Ecco, vedo mio padre e mia madre ...

Questa formula per il rito funerario vichingo è stata tramandata dal diplomatico Ahmad Ibn Fadlan (877-960) nel resoconto del suo viaggio verso i Bulgari del Volga. Eccone un sunto:

"Mi fu detto che era morto un ... uomo importante [dei Vichinghi o Variaghi o Rus'].
Essi lo misero in una fossa e sopra vi misero una copertura per la durata di 10 giorni, mentre tagliavano e cucivano indumenti per lui ... quando morì ... alle sue schiave fu chiesto: 'Chi morirà con lui?'. Una rispose 'Io'.
Non appena la cosa viene detta diviene obbligatoria; non ci si può più sottrarre ... Arrivò il giorno in cui l’uomo doveva essere cremato e la ragazza con lui, io andai al fiume ... Vidi che avevano tirato la nave sulla riva, che avevano eretto dei pali di betulla ed altro legno che, attorno ad essa, era stata fatta una struttura di legno simile ai padiglioni delle grandi navi. Indi trascinarono la nave finché non fu su questa costruzione lignea … indi portarono un giaciglio e ... misero il defunto sulla nave e lo coprirono con un materasso di broccato greco. Venne quindi una vecchia, che chiamano l’Angelo della Morte e dispone sul giaciglio quegli addobbi ... poi … misero il morto seduto sul materasso sostenendolo con cuscini. Portarono della birra, frutti e vegetali, pane, carne e cipolle che gli misero a lato. Indi portarono un cane che tagliarono in due e lo misero sulla nave. Poi portarono le sue armi e gliele misero a fianco. Poi condussero due cavalli, li fecero correre finché non furono sudati, poi li tagliarono a pezzi con una spada e li misero sulla nave. In seguito uccisero un gallo e una gallina e li gettarono sopra. La giovane schiava che voleva essere uccisa andava qua e là, in ciascuna delle loro tende, e il padrone di ciascuna tenda aveva un rapporto sessuale con lei e diceva: 'Dì al tuo signore che ho fatto questo per amore di lui'.
Il pomeriggio del venerdì condussero la giovane schiava verso una cosa che avevano fatto e che rassomigliava all’intelaiatura di una porta. Ella poggiò i piedi sulle palme degli uomini e questi la sollevarono per farla guardare al di sopra dell’intelaiatura. Disse qualche parola ed essi la rimisero giù.
Di nuovo tornarono a sollevarla ed ella torno a fare quello che aveva fatto; indi la riabbassarono. La sollevarono per la terza volta ed ella fece come le due volte precedenti.
Domandai all’interprete cosa avevano fatto. Mi rispose: 'La prima volta che l’hanno sollevata ha detto: -Ecco vedo mio padre e mia madre-'.
La seconda volta ha detto: -Vedo tutti i miei parenti morti che se ne stanno seduti-.
La terza volta ha detto: -Vedo il mio padrone seduto in Paradiso (Valhalla) e il Paradiso è bello e verde; con lui vi sono dei servi, uomini e ragazzi. Mi chiama. Portatemi da lui-'.
… Poi il parente più prossimo venne e prese un pezzo di legno che accese a un fuoco In Breve le fiamme avvolsero la legna, indi la nave, il padiglione, l’uomo e la donna ed ogni cosa sulla nave. Cominciò a soffiare un forte, terribile vento, così che le fiamme divennero più furiose e più intense.
Accanto a me vi era un Rus e io lo sentii parlare all’interprete che era presente. Chiesi all’interprete che cosa aveva detto. Rispose: 'Dice: -Voi arabi siete folli-'.
'Perché?' gli domandai?
Disse: 'Prendete gli uomini che vi sono più cari e che onorate di più e li mettete nella terra dove li divorano gli insetti e i vermi. Noi lo bruciamo in un istante, di modo che entra subito in Paradiso'.
Poi si mise a ridere fragorosamente.
Quando gli domandai perché rideva disse: 'Il suo signore per amor suo gli ha mandato il vento a portarlo via entro un’ora'.
Ed infatti non era ancora trascorsa un’ora e la nave, la legna, la giovane e il suo padrone non erano più che tizzoni e ceneri.
Poi, sul luogo, dove era stata la nave che avevano tratto fuori del fiume, elevarono qualcosa di simile ad una collinetta rotonda, nel mezzo della quale eressero un grande palo di legno di betulla, sul quale scrissero il nome dell’uomo ed il nome del re dei Rus e si allontanarono".

Ecco, vedo mio padre e mia madre
vedo tutti i miei parenti morti
che se ne stanno seduti
vedo il mio padrone seduto nel Valhalla
e il Valhalla è bello e verde
con lui vi sono servi, uomini e ragazzi.
Egli mi chiama.
Portatemi da lui.

domenica 17 gennaio 2016

I Venerdì dell'arte. Teatro con gatti messo in scena da Balthus. Una mostra a Roma.

Virginia Valletta
A distanza di quindici anni da una precedente mostra, le opere del pittore francese Balthasar Klossowsky, in arte Balthus, spentosi nel 2001 ultranovantenne a Rossinière , tornano a Roma - città in cui visse a lungo dirigendo l'Accademia francese di Villa Medici - in una grande mostra che si disloca in  due luoghi: le sale delle Scuderie del Quirinale e Villa Medici (fino al 31 gennaio). La rivelazione dell'arte rinascimentale italiana era avvenuta per il pittore  proprio durante un viaggio in Italia e a Roma in particolare negli anni venti,   ed era  poi maturata nel suo stile originale, in cui univa il linguaggio metafisico e il realismo magico,  il tutto  avvolto da un'aria di enigmaticità nordica.
Durante il periodo della sua formazione, Balthus aveva infatti preso a modello l'Italia rinascimentale,  riproducendo  le opere  di Masaccio e di Piero della Francesca da cui imparò la geometria 'primitiva' e seguendo  quei maestri anche nella tecnica dell'affresco e nella produzione di grandi tele.
In una fase successiva a quella dello studio dell'antico, iniziò a creare nei suoi grandi quadri, scene d'interni dal contenuto a volte ambiguo, situazioni nelle quali congelava gli attimi essenziali: la calma seduttiva ed erotica espressa  dagli ambienti, le sue figure realizzate con pochi tratti. Come nelle sue istantanee fotografiche, il pittore ritraeva momenti fermi di vita quotidiana, istanti  decisivi e simbolici.
Le composizioni geometriche, applicate anche alle posture delle figure e l'uso di colori con forti contrasti, spesso scelti tra quelli primari, ne rafforzano l'impatto visivo. Nelle tele è evidente la simmetria nello spazio  che viene utilizzata insieme alla geometria dei corpi.
Balthus, traeva ispirazione da fonti letterarie come Cime Tempestose e Alice nel paese delle meraviglie, nelle  quali coglieva il tema dell'amore e dell'infanzia con il suo immaginario e le sue simbologie,  scavandone tra gli aspetti più profondi e arcaici, e filtrandoli in un modo che potremmo dire  psicoanalitico.

mercoledì 13 gennaio 2016

Se la smettessimo di credere alla favola dei lettori in ripresa

Alceste

Leggo, su uno dei tanti media (uno a caso) che l'Italia, sia pure di poco, torna a leggere.

Un piccolo incremento rispetto all'anno scorso.
Non ricordo il numero di tali resipiscenti della lettura; oscillava attorno al mezzo milione, per un totale di lettori del 42% circa.
Insomma, per farla breve, nonostante gli atavici problemi dell'italiano, renitente alla cultura, e nonostante l'analfabetismo di ritorno (ritorno in massa), si torna a parlare in positivo (il futuro è meno grigio, e, se aguzzate la vista, potrete notare degli sprazzi rosa confetto).
Al fondo di tutti questi dati, infatti, c'è il segno più.
E il segno più (più qualcosa, qualsiasi cosa) è ciò che si deposita al fondo dell'animo degli italiani, ingenerando la speranza e la fiducia
Fiducia e speranza in cosa? direte voi; in chiunque detenga un potere, rispondo io.
Ottimismo. Ce la faremo. Non tutto è perduto. Viva l'italia. Nonostante qualcuno remi contro la barca va.
Tali sondaggi o statistiche o come li vogliate appellare non rivestono altra funzione.
Infatti sono tutte balle.
Il vero numero degli Italiani che leggon libri (attenzione: leggono libri) si aggira attorno al 15/20%.
Lo so io, lo sanno i sondaggiaroli, lo sanno gli addetti ai lavori, lo sanno gli stessi Italiani, a cui proporre una brossuretta in lettura equivale a offrire un mazzo di fiori d'aglio a Dracula.
Fate attenzione: non sto dicendo che le cifre dei sondaggi e delle statistiche siano false.
No, sono solo raffinate; come le cifre sulla disoccupazione.
Raffinate - poffarbacco! - seppur nel pieno rispetto delle norme (di qualsiasi norma si siano inventati per far sì che le statistiche risultino inattaccabili e nel pieno rispetto delle norme).
Supponiamo che in un certo paese (in Ausonia, ad esempio, oppure in Freedonia) ci siano 15.000.000 di persone, in età da lavoro, che non lavorano. Un numero enorme. Da non certificare ufficialmente.
Si procede, perciò, alla raffinazione del dato: si tolgono gli inoccupati, quelli non iscritti all'ufficio di collocamento, quelli che hanno lavorato almeno un giorno in tutto l'anno (e sono, quindi, occupatissimi) e si conteggiano due volte quelli col doppio lavoro: vedrete che, nel pieno rispetto delle norme, con tali raffinate raffinazioni, da 15 si arriverà a 3 o poco più. Un dato non esaltante, ma accettabile. La barca va.
E così è per la lettura.
Se conteggiamo pure chi legge le insegne dei negozi o le istruzioni dei componibili allora è tutto a posto.
Non c'è trucco, non c'è inganno.
+ 0,4% ... + 0,8% ... + 0,09% ...
Sono statistiche redatte da professionisti, professionisti che hanno delle competenze.
Se la barca va, lasciala andare, se la barca va tu non remare ...

domenica 10 gennaio 2016

La poesia della domenica - Matteo Maria Boiardo, De avorio e d'oro e de corali ...

Matteo Maria Boiardo, conte di Scandiano, è un poeta primaverile. Almeno quanto Dante e Shakespeare sono autunnali. 
In lui rileva la gioia di vivere e l'amore, fondamenti del vivere umano e della civiltà. E la sua lingua, ricca delle dolci assibilazioni tipiche del dialetto emiliano, riflette questa tendenza, che è anche filosofia di vita.
Boiardo, come Petrarca, è un monolinguista; come Petrarca (e Leopardi e Poliziano) parla di alberi, uccelli e rivi, così, in generale, aborrendo nomi propri e particolarismi. Il suo versificare è chiaro, senza doppi fondi e concede tutto alla musicalità del tono; d'altra parte perché non dovrebbe esser così? Per questo abbiamo ballate, sonetti e canzoni: la voce deve fluire assieme alle parole, come un ruscelletto sommesso e cristallino; e come la navicella del poeta, un mirabile convoglio d'amore, d'avorio, oro e coralli (i colori del viso dell'amata), che scivola su un mare tranquillo, ignara dei moti del destino avverso, fiduciosa nel proprio fermo sentimento, che altro non vuole e più non desidera.

De avorio e d’oro e de corali è ordita
la navicella che mia vita porta;
vento suave e fresco me conforta,
e il mar tranquillo a navicar me invita.

Vago desir coi remi a gir me aita,
governa el tempo Amor, che è la mia scorta,
Speranza tien in man la fune intorta
per porre il ferro adunco a la finita.

Così cantando me ne vo legiero
e non temo de’ colpi de fortuna
come tu che li fugi e non sciai dove.

Crede a me, Guido mio, che io dico il vero:
càngiasse mortal sorte or bianca or bruna,
ma meglio è morte qua che vita altrove.

Da Canzoniere. Amorum libri, 1990 (cura di Claudia Micocci)

giovedì 7 gennaio 2016

Ascanio Celestini legge Pasolini al Teatro Vascello

Il prossimo martedì 12 gennaio, al Teatro Vascello (Via Giacinto Carini 78, ore 21.00) andrà in scena PAROLE CORSARE: Ascanio Celestini leggerà una serie di brani scelti del poeta e intellettuale bolognese accompagnato dalle note di Alessio Mancini al flauto.
Ingresso gratuito.

PAROLE CORSARE, martedì 12 gennaio 2016, ore 21:00, Teatro Vascello, Via Giacinto Carini 78, quartiere Monteverde, Roma.

domenica 3 gennaio 2016

Presentazione laboratorio Officina Poesia 2016

Il concreto tessuto di ogni poesia è il ritmo in quanto esperienza, percezione ed espressione - umana, dunque soggettiva - del movimento vitale. Al di qua dei grandi autori, ogni essere umano possiede una voce poetica allo stesso modo in cui possiede una facoltà ritmica e musicale: come espressione fisica, ritmica e vocale del rapporto percettivo tra io e mondo. Come “ponte” che il singolo getta per superare la frattura tra io e mondo, e come tentativo di forzare il limite – linguistico, psicofisico, esperienziale – di cui ogni individuo è formato.
Negli incontri, proposti da Sonia Gentili, autrice di poesia e docente di Letteratura Italiana (Sapienza Università di Roma), si rifletterà su ritmo, voce e parola poetica. Lungo il percorso, chi lo desidera può sperimentare la scrittura di poesie che saranno oggetto di lettura e di una chiacchierata collettiva. Il laboratorio si propone quindi di lavorare a più livelli:

      - lettura, di testi poetici di autori sia contemporanei che del passato, da concertare insieme;

     - scrittura, di poesie prodotte dai partecipanti stessi. Per esperienza il confronto, libero e assolutamente non giudicante, può portare a una crescita nella consapevolezza;

      - incontri con autori ed editori.

Gli incontri, di frequenza quindicinale, si svolgeranno presso la sede di Plautilla, il lunedì dalle ore 17 alle 19; alcuni saranno autogestiti dai partecipanti stessi.
La partecipazione è libera e gratuita; sarà però necessario un tetto minimo di 20 persone per dare avvio all'iniziativa: primo incontro previsto lunedì 25 gennaio 2016. Altre date per ora previste:

8 febbraio
22 febbraio.

Pertanto si richiede di mandare la richiesta di adesione via mail a: