Mi
chiedo spesso da quale sensibilità derivi l’intensa considerazione per la morte
e l’effimero degli artisti barocchi spagnoli. Dalla sfiducia per materia propria
al cristianesimo? Solo in parte. Basta leggere le poesie medioevali cristiane
per accorgersi che la svalutazione del transeunte è solo il riflesso di una
totale devozione all’oltremondano. In Quevedo si ha di più: quasi una resa al
Fato incombente che tutto distrugge. Non sarà che al fondo dell’animo spagnolo permane
una visione nordica, gotica dell’esistere? In fondo la Spagna fu dominata per
secoli dai Goti (dal loro ramo occidentale, i Visigoti), quindi da una
popolazione pagana, di ascendenze scandinave. Jorge Luis Borges (argentino e,
perciò, spagnolo), proprio lui, prese sul serio questa cosa tanto da dedicarsi
assiduamente allo studio della lirica nordica antica: l’Edda di Snorri, l’elegia
pagana anglosassone, le saghe islandesi, le kenningar (cioè metafore: il fuoco era
“il lupo dei rami”; una nave “il destriero delle onde”; il mare “strada dei
cigni” et cetera).
L’elegia
anglosassone, ad esempio, ci offre spesso delle vanitas, meditazioni sconsolate
sull’uomo e sulle cose, ambedue destinati, ineluttabilmente, alla rovina. Ecco una
composizione, che descrive le rovine dell’antica città di Bath:
Splendida
è la muraglia di pietra, i fati la distrussero;
i
forti edifici crollarono, e quest’opera
di
giganti si sgretola. I tetti sono
caduti,
e le torri in rovina, il portale
di
tavole è infranto, e sulla calce
ora
è soltanto il gelo, e le tettoie sono sbrecciate, frantumate …
là
dove un tempo l’uomo
lieto
di cuore e luccicante d’oro, stupendamente abbigliato,
orgoglioso
e inebriato dal vino, splendeva nella sua
armatura
e guardava i suoi tesori, argento e gemme strane,
le
sue ricchezze e i suoi possessi, la pietra preziosa,
questa
città lucente entro i suoi vasti domini.
Collegare
l’occhialuto e atrabiliare Quevedo ai Visigoti può sembrare ben più d’un
azzardo, ma ho visto contadini che zappavano e seminavano, inconsapevoli,
secondo i dettami delle Georgiche.
È
impossibile liberarsi del passato.
Mirai
le mura della patria mia,
ben
salde un tempo, e oggi sgretolate,
dalla
furia del tempo devastate,
che
ne ha stremato ogni valentia.
Uscito
ai campi, vidi il sole bersi
i
ruscelli formatisi dal gelo;
e
i greggi si lagnavano del monte
che
con l’ombra rubava luce al giorno.
Entrai
nella mia casa, ed era sporca,
avanzo
di decrepita dimora;
e
più curvo il bastone e meno forte.
E
vinta dall’età sentii la spada.
Non
c’era cosa ove posare gli occhi
che
non fosse ricordo della morte
da
Sonetti amorosi e morali (traduzione
di V. Bodini)
The ruin,
da Poemi anglosassoni. VI-X secolo (traduzione
di Roberto Sanesi)
Jorge
Luis Borges, Letterature germaniche
medioevali, 1989