Un sirventese provenzale (occitanico) scritto nel clima antiromano, anticlericale e antifrancese seguito ai massacri delle crociate contro gli Albigesi (a Bezier, il 22 luglio 1209, furono uccisi fra i 7000 e i 20000 eretici).
L'invettiva contro il covo di vipere romane è dura e giustamente celebre, ma non è questo che ci interessa.
Ciò che interessa è che, fra il 1227 e il 1229, un tolosano, Guilhelm Figueira appunto, potesse già esprimere posizioni nettamente ghibelline (contro il Papa e a favore dell'Imperatore Federico II di Svevia) e un intransigente moto dell'anima, dettato dal disgusto verso la cupidigia e l'odio che originarono le stragi; un moto del cuore (e della ragione filosofica) che, qualche decennio più tardi, si ascriverà ai grandi poeti italiani: fra i sommi, Dante, e il primo amico e iniziatore di Dante, Guido Cavalcanti.
Nel seno dell'Europa, segnato tragicamente da tali eventi, sorgevano, insomma, potentissimi aneliti alla palingenesi spirituale e alla genuinità del primo Cristianesimo.
Da tale punto di vista non sono infondate quelle ipotesi, pur minoritarie, che vedono nei poeti ghibellini italiani una sorta di setta politico-spirituale che ostentava un formale omaggio alla Chiesa, e che invece, al riparo da un linguaggio letterario a doppio taglio, esoterico, la additava al disprezzo, auspicando, al contempo, l'avvento d'una figura in grado di restaurare la purezza del messaggio evangelico.
Queste interpretazioni furono sempre rigettate come bislacche; per me non lo sono. Anzi, mi colmano di gioia; e di felicità; seppur fossero false. Leggendo di questi uomini, persi nei cunicoli folli della storia: uomini a volte meschini, a volte nobili; ora traditori e servili, altre solitari e tetragoni contro il vento delle epoche; di fronte a tali sofferenze, a tali pensieri smisurati, a tali incroci di mondi, filosofie e passioni, non posso che provare il sentimento vertiginoso e smisurato della meraviglia. E non è la sempre risorgente meraviglia l'origine dell'amore per la conoscenza?
Traduzione e note di Francesco Zambon.
* * * * *
Non voglio più tardare né esitare ancora
a comporre un sirventese su questa melodia che mi piace;
eppure non ho dubbi che mi procurerà sentimenti ostili
perché questo sirventese tratta
dei falsi e dei perfidi
di Roma, che è alla testa della decadenza
in cui degenera ogni bene.
Non mi stupisco, Roma, se la gente cade in errore,
perché hai gettato il mondo in tormento e in guerra
e pregio e pietà muoiono a causa tua e sono sotterrati,
Roma ingannatrice,
di tutti i mali guida,
cima e radice: tanto che il nobile re d'Inghilterra
è stato da te tradito.
Roma bara, la cupidigia ti acceca:
alle tue pecorelle tondi troppo la lana.
Lo Spirito Santo che assunse carne umana
ascolti le mie preghiere
e spezzi il tuo becco.
Roma, non ti darò tregua: perché sei falsa e perfida
con noi e con i Greci.
Roma, ai deboli di mente tu rodi la carne e le ossa
e guidi i ciechi con te dentro alla fossa;
trasgredisci i comandamenti di Dio, tanto grande
è la tua cupidigia:
in cambio di denaro
perdoni i peccati. Roma, di un pesante fardello
di male ti carichi.
Roma, sappi che il tuo vile mercato
e la tua follia hanno causato la perdita di Damietta.
Male ti comporti, Roma; Dio ti abbatta
e ti mandi in rovina,
perché ipocritamente
ti comporti per denaro, Roma di vile razza
e violatrice di patti.
Roma, davvero io so con assoluta certezza
che sotto parvenza di falso perdono
hai mandato al supplizio la nobiltà di Francia,
lontano dal paradiso,
e che hai ucciso,
Roma, il nobile re Luigi: perché con false prediche
lo hai attirato fuori di Parigi.
Roma, ai Saraceni fai ben poco danno,
ma Greci e Latini li mandi al massacro.
Nel fuoco dell'abisso, Roma, hai eletto dimora,
nella perdizione.
Dio non mi faccia mai partecipe,
Roma, del perdono e del pellegrinaggio
che hai fatto ad Avignone.
Roma, senza ragione hai ucciso molta gente
e non mi piace affatto la via tortuosa che segui,
perché alla salvezza, Roma, sbarri la porta.
Ha una pessima guida
in estate come in inverno
chi segue le tue orme, perché il diavolo lo trascina
nel fuoco dell'inferno.
Roma, è facile dirti il male che meriti,
dato che per scherno martirizzi i cristiani;
ma in quale libro trovi scritto che si debbano uccidere,
Roma, i cristiani?
Dio, che è il pane vero
e quotidiano, mi conceda di veder capitare
ciò che desidero ai Romani.
Roma, sei stata veramente assai sollecita
negli ipocriti perdoni che hai concesso a danno di Tolosa:
ti rodi le mani alla maniera di una rabbiosa,
Roma seminatrice di discordia.
Ma se il valoroso conte
vive ancora due anni, la Francia avrà motivo di dolersi
dei tuoi inganni.
Roma, è così grande il tuo tradimento
che provochi il disprezzo di Dio e dei suoi santi;
ti comporti cosi male, Roma falsa e perfida,
che per te sparisce,
diminuisce e si dissolve
la gioia di questo mondo. E fai un grave oltraggio
al conte Raimondo.
Roma, Dio aiuti e dia potere e forza
al conte che tonde i Francesi e li scortica,
calpestandoli sotto i suoi piedi quando li affronta:
che gioia per me!
Roma, Dio si ricordi
dei tuoi grandi torti; e gli piaccia sottrarre il conte
a te e alla morte.
Roma, mi consola il fatto che tra poco
andrai a finire male se il giusto Imperatore
segue senza deviare il suo destino e fa quello che deve.
Roma, in verità lo dico,
vedremo decadere
la tua potenza: Roma, il vero Salvatore
mi conceda di vederlo presto.
Roma, per denaro tu compi molte azioni spregevoli,
molte insolenze e molte vigliaccherie.
Tale è la tua smania di dominare il mondo
che nulla temi,
né Dio né i suoi divieti:
anzi vedo che fai dieci volte più male
di quanto io non sia in grado di dire.
Roma, tu stringi cosi forte i tuoi artigli,
che ciò che puoi afferrare difficilmente ti sfugge;
se al più presto non perdi la tua potenza, in trappola
sarà caduto il mondo:
sarà morto e sconfitto
e il pregio distrutto. Roma, il tuo papa
fa di questi miracoli.
Roma, Colui che è Luce del mondo, vera vita
e vera salvezza, ti mandi in malora,
perché tanti e cosi risaputi sono i tuoi misfatti, da far
gridare il mondo.
Roma sleale,
radice di ogni male,
nel fuoco infernale brucerai senza scampo,
se non cambi rotta.
Roma, meriti biasimo a causa dei tuoi cardinali
per i criminali peccati di cui fanno parlare,
perché non pensano se non a come poter rivendere
Dio e chi lo ama;
e a nulla serve correggerli.
Roma, è disgustoso ascoltare e sentire
le tue prediche.
Roma, sono indignato perché il tuo potere aumenta
e grande angoscia per causa tua ci opprime tutti:
sei rifugio e fonte di inganno, di vergogna
e di disonore.
I tuoi pastori
sono impostori e falsi, Roma, e chi li frequenta
fa davvero una cosa insensata.
Roma, male agisce il papa quando contende
all'imperatore il diritto alla corona,
lo dichiara in errore e concede il perdono ai suoi nemici:
un simile perdono
non conforme a ragione,
Roma, è ingiusto; e chi lo giustifica
si copre di vergogna.
Roma, il Glorioso, che per noi soffrì mortale dolore
sulla croce, ti dia cattiva sorte,
perché vuoi sempre portare la borsa piena,
Roma di malaffare,
che hai il cuore tutto
volto al guadagno: per questo la cupidigia ti trascina
nel fuoco inestinguibile.
Roma, dal rancore che porti nella gola
nasce il succo di cui muore e si strangola lo sventurato
sentendo in cuore dolcezza; perciò il saggio trema
quando riconosce e distingue
il mortale veleno
(e da dove viene: Roma, dal cuore ti cola!)
di cui sono colmi i petti.
Roma, si è sempre sentito raccontare
che la tua testa è vuota perché la fai spesso rasare.
Per questo penso e credo che bisognerebbe strapparti,
Roma, il cervello
perché un cappello d'infamia
portate tu e Cìteaux, che a Béziers avete ordinato
uno spaventoso massacro.
Roma, con esca ingannatrice tu tendi la tua rete
e mangi molti bocconi maledetti, chiunque ne sia vittima,
perché sotto il tuo innocente aspetto di agnello
si nascondono lupi rapaci,
serpenti coronati
nati da vipera: per questo il diavolo li accoglie
come suoi intimi.
Note
[Guilhelm Figueira], tolosano di origine e sarto di professione, secondo la vida antica Guilhem Figueira avrebbe abbandonato la sua città quando essa cadde in mano ai Francesi (11 aprile 1229) e si sarebbe trasferito in Lombardia; a Tolosa compose questo celebre sirventese fra il 1227 e il 1229.
1-2: Lo schema metrico della poesia e con ogni probabilità anche la sua melodia sono quelli della canzone mariana Flors de paradis, regina de bon aire.
9: Si allude naturalmente alla Crociata contro gli Albigesi.
13-14: Giovanni Senzaterra, il cui nipote Ottone di Brunswick era stato scomunicato e deposto dal trono di Germania a favore di Federico II.
17: La definizione di Cristo come Spirito Santo incarnato potrebbe rivelare un influsso della dottrina catara.
37: Riferimento all'indulgenza concessa dalla Chiesa ai nobili francesi che prendevano parte alla Crociata albigese.
40-42: Il trovato re allude a Luigi VIII, che morì a Montpensier il 2 novembre 1226, subito dopo la presa di Avignone.
68: Raimondo VII di Tolosa.
78-81: Quando Guilhem Figueira scriveva, il conte Raimondo non si era dunque ancora arreso ai Francesi (11 aprile 1229).
86: L'imperatore Federico II, dal quale il trovatore spera sostegno alla causa tolosana.
127-128: Nel conflitto tra Federico II e il papa Gregorio IX, Figueira - su posizioni che si potrebbero definire "ghibelline" ante litteram - si schiera decisamente a favore dell'imperatore.
152: Il senso è: "avete una pessima reputazione", con allusione ai cappelli infamanti che erano obbligati a portare alcuni condannati.
153-154: La responsabilità del massacro compiuto a Béziers il 22 luglio 1209 (le fonti indicano tra le 7.000 e le 20.000 vittime) ricade essenzialmente sulle spalle dell'abate cistercense Arnaut Amalric, che comandava l'esercito crociato e che, secondo il cronista tedesco Cesario di Heisterbach, non potendo distinguere fra eretici e cattolici, avrebbe pronunciato la terribile frase: "Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi".
157-158: Questa immagine (che risale a luoghi evangelici come Mt 7,15 e Lc 6,44) era corrente nel medioevo. I Catari la usavano nella loro polemica antiromana; cfr. per esempio il trattato apologetico La Chiesa di Dio: ,,[La Chiesa romana] perseguita e assassina chiunque non voglia acconsentire ai suoi peccati e alle sue azioni. Essa non fugge di città in città, ma domina le città, i borghi e le province e siede maestosamente nelle pompe di questo mondo; ed è temuta dai re, dagli imperatori e dagli altri signori. Non è affatto come le pecore fra i lupi, ma come i lupi fra le pecore e i capri [ ... ]. Soprattutto, perseguita e assassina la santa Chiesa di Cristo, la quale sopporta tutto con pazienza, come fa la pecora che non si difende dal lupo. Eppure, in contrasto con tutto ciò, i pastori della Chiesa romana non si vergognano di dire che sono loro le pecore e gli agnelli di Cristo; e dicono che la Chiesa di Cristo, quella che perseguitano, è la Chiesa dei lupi. Ma questa è una cosa assurda, perché una volta i lupi perseguitavano e uccidevano le pecore.
Bisognerebbe che oggi tutto andasse alla rovescia perché le pecore fossero diventate tanto feroci da mordere, inseguire e uccidere i lupi".
159: I serpenti coronati sono i vescovi e i prelati che portano la corona, cioè la mitria; per il riferimento alla "razza di vipere", cfr. Mt 3,7 e Ld,7.
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