
Prima di un film e di una colonna sonora (celeberrimi), Cuore di tenebra fu un resoconto, impareggiabile e definitivo, sul nichilismo europeo e sulla devoluzione spirituale dell’uomo occidentale. Conrad ci guida verso il nostro cuore di tenebra secondo una via crucis scandita progressivamente da una prosa precisa, implacabile e, nel contempo, letterariamente ricchissima: in essa convivono per miracolo sia il registro prezioso che l’andamento narrativo.
Il libro (il diario d’una spedizione africana verso una stazione coloniale interna retta da Walter Kurtz) è una gigantesca chiamata in correità (nel tempo e nello spazio) dell’intera koiné europea: nel tempo, poiché il narratore, Marlow, associa nel capitalismo di rapina sia i conquistatori romani dell’Inghilterra che i colonizzatori africani di quasi due millenni dopo; nello spazio, perché nessuno può dirsi escluso: la Società delle Colonie ha sede a Bruxelles; Kurtz è mezzo francese mezzo inglese; l’aiutante di Kurtz russo; Marlow è inglese e si imbarca su di un piroscafo francese e, prima di inoltrarsi nella giungla, incontra danesi, svedesi, olandesi, di nuovo francesi, scozzesi.
L’uomo europeo (e perciò mondiale, globalizzato) è ormai agito non da una divinità furibonda e lurca di sangue, ma “da un demone flaccido, bugiardo, miope, di una follia rapace e spietata”, da “un’ottusa rapacità”; la prefigurazione è quella dell’homo novus attuale, deprivato empaticamente, sordo ai richiami della cultura passata, tenuto in piedi esclusivamente dalla propria voracità criminale di cui peraltro ignora la pulsione profonda e l’utilità (situare la sede di questo virus proprio a Bruxelles è un tocco profetico di prim’ordine).