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lunedì 28 aprile 2014

mvl cinema/ La sedia della felicità

Raethia Corsini

Ormai è noto: la mia missione è difendere le opere piccole. Quando posso lo faccio da questo blog che accoglie voci plurali, come dovrebbe sempre essere. Sono andata al cinema l'altra sera. Ero esausta, reduce da una giornata di quelle nelle quali tutto s'infila nel verso che non hai deciso tu, a ricordarti che "avere il controllo della situazione" è sempre e solo un'illusoria concessione che la vita ci fa. Il cinema in questi casi per me è sempre un balsamo. Stavo per scegliere Gigolò per caso, per quell'abitudinaria certezza che se c'è Woody in qualche modo mi diverto. Poi passo davanti al Cinema Sacher (quello di Nanni Moretti) e vedo che di lì a poco sarebbe iniziata la programmazione di secondo pomeriggio del film La sedia della felicità. Abbandono l'idea di un Allen-Turturro garantiti e opto per la pellicola nazionale, con cast nazionalissimo: Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese, Giuseppe Battiston, Roberto Citran, Natalino Balasso e (come si legge nei titoli) l'amichevole partecipazione di Katia Ricciarelli, Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando. Il regista è il padovano Carlo Mazzacurati, morto il 22 gennaio di quest'anno. Di lui ricordo Il toro, con un inusuale Abbatantuono, un film a tratti surreale eppure così realistico. E poi mi rammento una frase a lui attribuita, che ha girato tanto in rete subito dopo la sua scomparsa: «Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre». Entro al cinema. La sala è gremita. Il film si apre su scene di vita quotidiana in un Nord Est tanto, molto reale. Poi il film si sviluppa in un intreccio, un thriller comico e gioioso con finale (apparentemente) surreale. I tempi comici di Valerio Mastrandrea sono perfetti così come gli sguardi e i piccoli gesti sempre eloquenti. Isabella Ragonese infonde a tutta la pellicola un'autentica levità recitativa, ed è credibilissima. 




Si ride di gusto, si sorride come nelle vere commedie e alla fine certe trovate, al primo acchito un po' esagerate, ci restituiscono invece la realtà delle contraddizioni della vita quotidiana deformate dallo sguardo del regista per amplificare l'idea (la convinzione, la realtà - ancora una volta) che è il caso a dominarci, che tutto avviene per caso: dagli incontri alle scoperte, dall'amore ai ritrovamenti di tesori. Ed è così (democraticamente) per tutti: belli e brutti, colti e incolti, istruiti e analfabeti, religiosi e laici, eleganti nei gusti e desideri o kitsch (come lo è la sedia del film) nei sogni e nelle aspettative. E Mazzacurati narra ogni protagonista con tenerezza, con gentilezza. «Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre». Sono uscita dal cinema Sacher confortata, con un minuscolo sorriso che mi ha accompagnato fino al mattino dopo, quando ho incontrato (di nuovo) il caso. E mi sono messa ridere.


Carlo Mazzacurati

Padova, 2 marzo 1956 – Padova, 22 gennaio 2014


regista, sceneggiatore, attore (in alcuni film di Nanni Moretti)


Presidente della Fondazione Cineteca di Bologna


mercoledì 2 ottobre 2013

mvl Cinema: Una vita nei ritmi del rimpiazzo


L'Intrepido (2013) di Gianni Amelio, con Antonio Albanese, Livia Rossi, Gabriele Rendina, Alfonso Santagata, Sandra Ceccarelli

Patrizia Vincenzoni
Antonio Pane è un uomo di quarantotto anni, disoccupato, separato, vive solo in una Milano che non è più 'da bere', come recitava anni fa una pubblicità, con i suoi cantieri e gru, moderni dinosauri al lavoro per l' Expo' 2014, ha un figlio musicista suonatore di sax. I lavori che un gottoso proprietario di una palestra gli procura,applicando una significativa percentuale per se stesso, sono rimpiazzi di lavoratori che si assentano per ore o giorni a causa di motivi vari. Lo vediamo, seraficamente, indossare e dismettere panni di vari mestieri; chiedere al 'datore di lavoro di cui sopra il - poco- danaro che gli spetta, senza averne risposta, con un sorriso che gli resta appeso in volto laddove sembra opportuno e naturale un altro qualsivoglia atteggiamento, purché non sia l'acquiescenza e dare per scontato che le cose vanno così. Antonio risulta un po' irritante e improbabile, una figura quasi eroica votata alla fuga dalle responsabilità e a un qualunquismo di sopravvivenza. Lo sfondo sociale nel quale si muove è quello attuale, il lavoro in nero, il precariato cronico, l'assottigliarsi dei diritti al lavoro e dei lavoratori, l'alienazione sociale e individuale, così come la tendenza, di cui si fa portavoce, a derubricare passione, fiducia, speranza dalla vita e dal mondo.
Il candore con il quale viene tratteggiato questo uomo alla fine lo comprime in un atteggiamento disarmante, fino a farlo sembrare una maschera, un personaggio nel quale difensivamente identificarsi.
L'Intrepido: non nel senso della capacità ardimentosa e nonostante tutto nel voler mantenere viva la necessità di poter uscire tutti i giorni da casa grazie ai rimpiazzi, chiamati con enfasi lavoro.
L'Intrepido: una rivista settimanale a fumetti, che celebrava eroi impegnati in avventure soprattutto esotiche, molto amata in adolescenza da Gianni Amelio, come ha raccontato in un'intervista, la cui atmosfera riverbera nel film, dando alla narrazione quella nuance favolistica che confonde e sovrappone sogno e realtà. Una sospensione dalla crudezza del reale che non lo trasforma in denuncia sociale.
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