giovedì 27 maggio 2021

"la home dove sempre ritorni": "Calendiario" di Maria Teresa Carbone


Fiorenza Mormile

Calendiario  è la prima raccolta poetica di Maria Teresa Carbone, uscita nel 2020 per Aragno nella collana “i domani”. Coltivata nell’arco di oltre quindici anni consta di due parti: Calendiario, appunto, e Cinque quarti. Esercizi di cosmogonia quotidiana. Dai titoli appare quindi programmatica la fusione di tempo e scrittura. Quella praticata nella decennale attività di giornalista, critica, traduttrice e qui divenuta poesia, in una cronaca ragionata di pensieri neri e non, esposti con sincerità cristallina. In un’ideale mappa cartesiana di questo libro potremmo collocare come ordinata il tempo e come ascissa le relazioni, col loro carico di problematicità, anche se tutti noi Monteverdeleggini conosciamo l’inesauribile attitudine di Maria Teresa a mettere in relazione persone e mondi. Diviso nelle sezioni “Giorno” e “Notte” Calendiario apre sull’intento, per sdrucciolevole che sia, di collocarsi: “sulla mappa confusa di questo tempo mio/ manca il puntino rosso/ io sono qui/ qui e non altrove (io)”. È corredato da foto della stessa autrice (dodici, come i mesi) che ne esemplificano la realtà ritraendola con tocco elusivo ed enigmatico. Esterni, per lo più di viaggio, e interni domestici, numericamente prevalenti. Autoscatti ‘tagliati’ nello specchio della camera da letto o del vetro del forno, un angolo di spalla, un divano dove di sghembo poggia un quadro, presumibilmente crollato dalla parete piena di ricordi familiari per il cedere di un chiodo il cui  buco è bene in vistaNei testi iniziali predominano esempi di crudeltà relazionale, quella tra adulti e bambini “sei cretina lo sai che/ sei cretina dimmi che sai che/sei cretina”, tra bambini e verso gli animali, rivolta comunque nei confronti dei più deboli “mi piace torturare mio fratello/mi fa sentire potente”;“i bambini hanno smesso di gridare/ l’animale ha smesso di muoversi”. Nell’imparziale mettersi in discussione perfino il grande amore per i cani viene trapassato da un dubbio lacerante: “se avessi molta fame/vorrei mangiarlo”? per concludere poi “vale la pena di vivere mangiando il proprio cane"?   

 A una “difficoltà nel crescere” giocata su un doppio registro (la propria statura e la resistenza ad accettare il peso di un’eterna esposizione alle necessità filiali) rimanda il riferimento alla madre che soffoca il bambino pur amato “come si soffoca un desiderio” e l’atteggiamento verso i figli forse  mai cresciuti  abbastanza con un richiamo rovesciato alla Plath di “Medusa”(che ha tradotto): “i tentacoli/ sfibrati e appiccicosi/ li taglio/ con un colpo di coltello”. Anche perché il rapporto con i figli cambia nel tempo “La corda che ci ha unito è fatta terra” e “pensiamo di saperci/ ma lo strato dei giorni ci separa”.                                                                                 

Una delle foto inquadra oltre il vetro della portafinestra dei lenzuoli stesi al piano superiore che scendono fino a invaderne buona parte, coprendo la vista sul giardino. C’è un riconoscimento anche civico dello spazio vitale che ciascuno ha il diritto di pretendere: se l’operaio polacco gesticolando usurpa parte di quello destinato a lei non va bene: “accanto a lui mi riduco di metà”, e lo stesso sembra valere per i rapporti familiari.             

  La “difficoltà del crescere” assume ulteriore valenza anche nei confronti dell’invecchiare, che ci colpisce a tradimento lasciandoci il dubbio di non essere mai veramente cresciuti. Merita una menzione anche l’importanza data al sonno “di questa notte resta il sonno/ io sono forse solo quando dormo”a chiusura della prima parte. Sonno che non è mai tempo sprecato perché spazio per lo più salvifico del sogno, pausa rigenerante contro l’incalzare dei giorni che troviamo evidenziato nella seconda parte: “the end la coda della notte/ dissolvenza/ domani è un altro giorno/ è oggi”. Eccoci così già passati a Cinque Quarti. Esercizi di Cosmogonia quotidiana, che nel titolo polisemico preannuncia  le cinque sezioni (del corpo; dello spazio; del tempo; della parola; del principio e della fine) attraverso la figura musicale di “un ritmo che sopravanza, una misura di eccesso, qualcosa che sfugge e la parola poetica cerca di fermare” come ben spiega Laura Pugno nella densa quarta di copertina “un rifare il mondo che è fatica quotidiana (…) e allo stesso tempo felicità quotidiana come può esserlo il moto degli  astri, (…) il nostro uscire ogni notte (…) a rimirarli, quelle luci lontane, sidera, desiderate, considerate”.

Operazione che a differenza di Calendiario (libero nelle forme e nella distribuzione asimmetrica dei testi tra Giorno e Notte) fluisce senza interruzioni iconografiche sotto il segno dell’ordine e di una disciplina costante (gli “esercizi”): “chiara e onesta ci appare/ la geometria delle cose” e di un ritmo sprint “e uno e due e tre e quattro/ batti il tempo sconfiggilo”. Ogni sezione è composta da quindici strofe, rivisitazione della sestina incatenata, scelta a un tempo colta e funzionale alla rapida sintesi di ogni testo. Sestine dal verso variabile il cui verso finale instaura una qualche relazione (tematica, per associazione o contrapposizione, linguistica, giocosa) con il primo di quella successiva. Ne risulta una catena ininterrotta e nell’incalzare dei giorni talora.  incongrua come lo è l’accatastarsi di eventi, cui l’abolizione delle maiuscole nega l’enfasi delle priorità. Ritroviamo la già citata importanza del sonno, spazio al ricordo dei suoi vari pregressi trasferimenti “nella città troppe città lontane/nella notte lei torna/lungo linee impolverate/ di bisogni di azzardi” ma soprattutto tregua dalle ansie: “notte/notte teme il risveglio/dentro un’età diversa, dissennata”, rifugio quasi uterino: “il tuo dito bambino eroicamente/ficcato nella diga quotidiana/ nei sonni e nei risvegli/lasci la pancia calda/per uscire all’aperto”.

Molto ancora si potrebbe dire di questa raccolta breve e succosa, ricca di campi lessicali (ricordo qui oltre al già citato materno  quello religioso: “un naso importante” dono ereditario da parte di “geni-magi”; “mater padrona onnipotente”; “privata sindone del lenzuolo”; “piedi trafitti”; “le dodici stazioni del lutto”; “contrita/ ogni volta smarrita pecorella/ e io pastore dei tuoi minuti”, tutti però laicamente e spesso ironicamente declinati: l’ultimo esempio esorcizza l’imbarazzo di un ritardo ricorrente, mentre molto a proposito in apertura alla sezione della parola appare “serve sapere quanto vale il verbo/ perno era in principio/perché io parlo e tu parli e/noi parliamo ed ergo siamo/buffe bestie parlanti come/ quelle che ci fanno ridere nei film”. Ci sono anche richiami al femminile, cinematografici (Gilda e Rossella), letterari (Plath e Woolf) e più in generale quelli alle favole che evidenziano una traccia della dimensione bambina: (il tappeto volante, i “lupi piazzisti” e quelli “mannari”, le fate da invocare contro la fatica del vivere e il senso di incompiutezza) “quanta forza sciupata/ meglio dormire al risveglio sognare/ fate formiche aiutate noi sciocchi/ eroi pinocchi a diventare carne”. Il viaggio è ancora in corso, c’è di sicuro altro  spazio di crescita per una natura in movimento sempre pronta a ripartire “un colpo di dadi/ ricadi all’indietro all’inizio del gioco” e in questo modo l’oca che “si gratta la zampa” dell’ultima sestina si ricongiunge  al “piede” che “prude” della prima.  Chiudo con un esempio di come Maria Teresa (ascendente Pesci) sappia sgusciar via dal rischio dell’autocommiserazione rispetto all' ineludibile quota di dolore che tocca a tutti noi :“piangere nella vita che esercizio (…) miracolosamente mutare/pene impietrite /in guizzanti pesci-singhiozzo”. Me li vedo proprio saltellare intorno questi pesci insolitamente rumorosi: un miracolo dadaista ha trasformato le lacrime in sorriso.

 

Per un approfondimento  si rimanda ai link sottostanti, dove compaiono anche poesie dal libro:

 https://antinomie.it/index.php/2021/03/15/calendiario/

 https://ilmanifesto.it/le-stanze-disadorne-del-quotidiano/

https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/daily-google-calendario-la-poesia-di-maria-teresa-carbone/

 

 

Nessun commento:

Posta un commento