Afferma Giuseppe Lippi, curatore di una delle rarissime antologie italiane dedicata al britannico Robert Aickman (1914-1981): "Aickman eccelle in un gioco per altri versi pericoloso: quello di ottenere un massimo di tensione attraverso l'accumulo di fatti banalissimi. Non suoni scoraggiante al lettore: la stoffa dello scrittore si riconosce proprio nel fatto che i risultati gli danno ragione. Il luogo comune, il pettegolezzo, il penoso imbarazzo delle situazioni triviali sono i suoi ferri del mestiere, e Robert Aickman li adopera con bravura e consumata ironia".
Ed è così: come in Shirley Jackson, o nell'opera dei conterranei Saki, Max Beerbohm e Margaret Oliphant (fra i tanti), l'orrore e il disagio non solo vivono già annidati nel reale, ma in un reale ordinario, goffo e prevedibile. Per questo, come accade al protagonista dello straordinario racconto Le spade, sono gli individui più sbiaditi e comuni a rinvenire il filo penzolante delle smagliature dell'esistenza; la superficie della vita - sembra dire Aickman - apparentemente normale e composta, deve la propria banale razionalità a un mondo sottostante, fatale e sconosciuto ai più, in cui possiamo imbatterci per caso, nei nostri tranquilli andirivieni quotidiani.
Robert Aickman
La mia
prima esperienza sessuale?
Fu una
specie di esame, più di qualunque avventura che mi sia capitata poi nello
stesso campo. Non molto piacevole, ma rivelatrice. Ho notato in diverse
occasioni che le cose più strane accadono proprio ai principianti: e talora,
penso, solo a loro. Quando una cosa la si conosce non c'è più mistero, e questo
vale in quasi tutti i campi. Prendiamo le donne: dopo le prime sei, sette, o
otto, le altre spariscono nel gruppo. lo ero appunto un principiante, grezzo
come una cipolla a primavera. Per di più ero un cocco di mamma, spaventato a
morte della vita e un crasso ignorante. Ma non voglio mancare di rispetto a mia
madre: era buona come un'altra e me la cavavo meglio con lei che con molte
altre donne.
Mia
madre aveva un fratello, zio Elias. Dovrei aggiungere che discendiamo da una
grande famiglia di ceramisti, ma la verità e che non ne sono tanto sicuro. La
nonna conservava qualche coccio per suffragare questa tesi, ma è difficile
giurarci. Dopo che mio padre rimase ucciso in un incidente, mia madre chiese
allo zio Elias di prendermi in affari con sé. Lui era un rappresentante di
prodotti per drogheria, ma non in grande stile: teneva solo gli articoli a buon
mercato. Zio Elias disse che dovevo farmi le ossa viaggiando. Mia madre era
molto preoccupata, perché papà era morto in un incidente d'auto e perché
pensava che sarei stato esposto alle tentazioni, ma non poté farci niente e io
diventai commesso viaggiatore per conto dello zio.
Il
pericolo della tentazione esisteva davvero, ma io ero troppo ingenuo e troppo
spaurito per lasciarmene coinvolgere. Per quanto potevo, mi tenevo a distanza
perfino dai colleghi che incrociavano la mia strada: ero sicuro che avrebbero
avuto su di me una pessima influenza, e poi non ci tenevo a passare da poppante
del gruppo. Inutile dire che il mestiere di commesso viaggiatore mi disgustava,
che mi faceva sentire terribilmente solo: e non è un modo di dire, ero
terribilmente solo. Odiavo quella vita, ma zio Elias aveva promesso di
sistemarmi e io non riuscivo a vedere altre possibilità. Feci il commesso per
più di due anni, dopodiché, grazie a un'inserzione sul giornale, trovai il mio
attuale lavoro presso una ditta di costruzioni: allora, finalmente, fui libero
di dire allo zio cosa poteva farsene dei suoi prodotti di drogheria a buon
mercato.