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domenica 6 aprile 2014

L'incipit della domenica - Arrigo Boito, L'alfiere nero

Arrigo Boito (1842-1918), fratello minore di Camillo (autore di Senso), fu librettista per Giuseppe Verdi e novellista di rilievo (Il pugno chiuso, Il trapezio).
L'alfiere nero è uno dei rari (e incontestabili) capolavori italiani del fantastico.
Vi è narrata una partita a scacchi memorabile in cui un pezzo (l'alfiere nero appunto, insanguinato da una sutura di ceralacca rossa) diviene, allo stesso tempo, il simbolo potente della rivalsa di razza e la prefigurazione di due destini: l'uno rovinoso, l'altro di libertà.
Il tema della scacchiera, come labirinto metaforico di multiformi destini, tornerà, insistito e definitivo, in una celebre poesia di Jorge Luis Borges: la apponiamo in esergo al racconto, quale introduzione atmosferica allo stesso:

I

Nell'angolo severo i giocatori
muovono i lenti pezzi. La scacchiera
li avvince fino all'alba al duro campo
dove si stanno odiando due colori.

Su di esso irradiano rigori magici
le forme: torre omerica, regina
armata, estremo re, cavallo lieve,
pedoni battaglieri, obliquo alfiere. 

Quando si lasceranno i due rivali,
quando il tempo oramai li avrà finiti,
il rito certo non sarà concluso.

In Oriente si accese questa guerra
che adesso ha il mondo intero per teatro.
Come l'altro, è infinito questo gioco.

II

Debole re, pedone scaltro, indomita
regina, sghembo alfiere, torre eretta
sul bianco e nero del tracciato cercano
e sferrano la loro lotta ramata.

Non sanno che il fortuito giocatore
che li muove ne domina la sorte,
non sanno che un rigore adamantino
ne soggioga l'arbitrio e la fortuna.

Ma il giocatore è anch'esso prigioniero
(Omar lo dice) d'una sua scacchiera
fatta di nere notti e bianchi giorni.

Dio muove il giocatore, e questi il pezzo.
Che dio dietro di Dio la trama inizia
di tempo e sogno e polvere e agonie?

Arrigo Boito
Chi sa giocare a scacchi prenda una scacchiera, la disponga in bell’ordine davanti a sé ed immagini ciò che sto per descrivere.
Immagini al posto degli scacchi bianchi un uomo dal volto intelligente; due forti gibbosità appaiono sulla sua fronte, un po’ al di sopra delle ciglia, là dove Gall mette la facoltà del calcolo; porta un collare di barba biondissima ed ha i mustacchi rasi com’è costume di molti americani. È tutto vestito di bianco e, benché sia notte e giuochi al lume della candela, porta un pince-nez affumicato e guarda attraverso quei vetri la scacchiera con intensa concentrazione. Al posto degli scacchi neri c’è un negro, un vero etiopico, dalle labbra rigonfie, senza un pelo di barba sul volto e lanuto il crine come una testa d’ariete; questi ha pronunziatissime le bosses dell’astuzia, della tenacità; non si scorgono i suoi occhi perché tien china la faccia sulla partita che sta giuocando coll’altro. Tanto sono oscuri i suoi panni che pare vestito a lutto. Quei due uomini di colore opposto, muti, immobili, che combattono col loro pensiero, il bianco con gli scacchi bianchi, il negro coi neri, sono strani e quasi solenni e quasi fatali. Per sapere chi sono bisogna saltare indietro sei ore e stare attenti ai discorsi che fanno alcuni forestieri nella sala di lettura del principale albergo d’uno fra i più conosciuti luoghi d’acque minerali in Isvizzera. L’ora è quella che i francesi chiamano entre chien et loup. I camerieri dell’albergo non avevano ancora accese le lampade; i mobili della sala egli individui che conversavano, erano come sommersi nella penombra sempre più folta del crepuscolo; sul tavolo dei giornali bolliva un samovar su d’una gran fiamma di spirito di vino. Quella semi-oscurità facilitava il moto della conversazione; i volti non si vedevano, si udivano soltanto le voci che facevano questi discorsi:
- Sulla lista degli arrivati ho letto quest’oggi il nome barbaro di un nativo del Morant-Bay.
- Oh! un negro! chi potrà essere?
- Io l’ho veduto, milady: pare Satanasso in persona.
- Io l’ho preso per un ourang-outang.
- Io l’ho creduto, quando m’è passato accanto, un assassino che si fosse annerita la faccia.
- Ed io lo conosco, signori, e posso assicurarvi che quel negro è il miglior galantuomo di questa terra. Se la sua biografia non vi è nota, posso raccontarvela in poche parole. Quel negro nativo del Morant-Bay venne portato in Europa fanciullo ancora da uno speculatore, il quale, vedendo che la tratta degli schiavi in America era incomoda e non gli fruttava abbastanza, pensò di tentare una piccola tratta di grooms in Europa; imbarcò segretamente una trentina di piccoli negri, figliuoli dei suoi vecchi schiavi, e li vendé a Londra, a Parigi, a Madrid per duemila dollari l’uno. Il nostro negro è uno di questi trenta grooms. La fortuna volle ch’egli capitasse in mano d’un vecchio lord senza famiglia, il quale dopo averlo tenuto cinque anni dietro la sua carrozza, accortosi che il ragazzo era onesto ed intelligente, lo fece suo domestico, poi suo segretario, poi suo amico e, morendo, lo nominò erede di tutte le sue sostanze. Oggi questo negro (che alla morte del suo lord abbandonò l’Inghilterra e si recò in Isvizzera) è uno dei più ricchi possidenti del cantone di Ginevra, ha delle mirabili coltivazioni di tabacco e per un certo suo segreto nella concia della foglia, fabbrica i migliori zigari del paese; anzi guardate: questi vevay che fumiamo ora, vengono dai suoi magazzini, li riconosco pel segno triangolare che v’è impresso verso la metà del loro cono. I ginevrini chiamano questo bravo negro Tom o l’Oncle Tom perché è caritatevole, magnanimo; i suoi contadini lo venerano, lo benedicono. Del resto egli vive solo, sfugge amici e conoscenti; gli rimane al Morant-Bay un unico fratello, nessun altro congiunto; è ancora giovane, ma una crudele etisia lo uccide lentamente; viene qui tutti gli anni per far la cura delle acque.
- Povero Oncle Tom! Quel suo fratello a quest’ora potrebbe già essere stato decapitato dalla ghigliottina di Monklands. Le ultime notizie delle colonie narrano d’una tremenda sollevazione di schiavi furiosamente combattuta dal governatore britannico. Ecco intorno a ciò cosa narra l’ultimo numero del Times: "I soldati della regina inseguono un negro di nome Gall-Ruck che si era messo a capo della rivolta con una banda di 600 uomini ecc. ecc.".
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