CANTIERE24

Cantiere 24 è un laboratorio in progress, che raccoglie i testi, le fotografie, gli audiovisivi e i materiali audio e video prodotti presso il Centro Diurno "Cantiere 24" (DSM Asl Roma D, via Giovagnoli 29) dagli utenti del Centro in collaborazione con i soci dell'associazione Monteverdelegge. Il laboratorio si inserisce all'interno del Progetto Reportage, che ha come obiettivo la riscoperta e la narrazione di luoghi e ambienti umani dimenticati o emarginati. 

Qui il nuovo sito:


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Il Gruppo Reportage al Monte dei Cocci

Foto di Antonella Cecchi Pandolfini

Foto di Cristina Masotti

Foto di Cristina Masotti

Foto di Cristina Masotti

Foto di Cristina Masotti

Foto di Cristina Masotti

Foto di Lamberto Di Fabio

Foto di Lamberto Di Fabio

Foto di Nicola Barricelli

Foto di Patrizia Vincenzoni

Foto di Patrizia Vincenzoni

Foto di Patrizia Vincenzoni

Foto di Patrizia Vincenzoni

Foto di Patrizia Vincenzoni

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Stefano Martinez

Foto di Virginia Valletta

Foto di Virginia Valletta

Foto di Virginia Valletta


I PROMESSI SPOSI
Note e ritratti intorno al romanzo di Alessandro Manzoni
a cura della redazione del giornale "La locomotiva"
con il coordinamento di Marco Pacelli



ESTERNI, ITALIA
Fotografie a cura degli utenti del Centro Diurno "Giovagnoli" (DSM Asl Roma D)



Antonella Cecchi Pandolfini, Canicola

Antonella Cecchi Pandolfini, La via di mezzo (Pietrasanta)
Antonella Cecchi Pandolfini, In cammino


Antonio Sforzini, Monteverde Vecchio di notte

Emanuela Tani, Invernale 1

Emanuela Tani, Invernale 2

Emanuela Tani, Invernale 3

Emanuela Tani, Invernale 4

Lamberto Di Fabio, Il miracolo di Pisa

Antonella Venanzi, Spoleto

Virginia Valletta, Bagliori
Virginia Valletta, Donna al balcone

Virginia Valletta, Luce e ombra
Virginia Valletta, Vicolo napoletano

Virginia Valletta, Vicolo napoletano 2

I BRUEGEL NEL SEGNO DEL CONTRASTO
Vizi e virtù, toni accesi e monocromi, fantasia e realismo nei dipinti della celebre famiglia fiamminga esposti al Chiostro del Bramante

Virginia Valletta
La mostra allestita al Chiostro del Bramante e dedicata alla pittura fiamminga del 1500-1600 così come è stata rappresentata dall'opera della nota famiglia Bruegel, pittori attivi nelle Fiandre in quel periodo (Pieter Bruegel il vecchio, Pieter il giovane, Jan il giovane e vari discendenti e nipoti), mi ha molto colpito per il realismo dei soggetti, siano scene di vita comune, eventi particolari o paesaggi. Questi quadri trattati con minuziosità dei dettagli e dei particolari sono tipici di quella tradizione sin dai secoli precedenti. La perfezione della tecnica ad olio si impone allo spettatore attraverso l'uso del colore  sia nelle minime sfumature sia nelle tonalità più accese. I toni vivaci utilizzati dai vari autori della medesima stirpe, i volti e la composizione dei personaggi sono interessanti perché  diversi da quelli della tradizione italiana.  Figure grottesche colpiscono nella loro immediatezza e spesso ironia. Numerosi quadri sono caratterizzati dall'uso di un azzurro quasi turchese che sfiora l'irrealtà per quanto  è insolito, e che suggerisce un misto di fantasia e realismo. Sono presenti numerosi elementi simbolici e allegorici. I volti risaltano sulla scena, si spingono in avanti verso chi guarda quasi occupando lo spazio dello spettatore, come finestre sulla realtà alla quale non si può non credere. Figure caricaturali, irreali, ironiche rappresentano il brulicare della vita. E' questo che il pittore vuole comunicare, uomini comuni, con i loro vizi e virtù, spesso più vizi che virtù.  Fortissimo anche il senso della natura espresso nei paesaggi anche questi di notevole suggestione per verosimiglianza ma con qualche spunto di visionarietà. 
Un quadro molto interessante e particolare, di Jan Bruegel raffigura un paesaggio invernale con la neve, gli alberi spogli e secchi e gli uccelli in volo. Esprime bene la pace e la serenità della natura dormiente e allo stesso tempo un senso di desolazione, di solitudine e di silenzio evocativo e poetico. Una condizione tipica della natura nei paesi nordici. Il dipinto è quasi un monocromo nelle sfumature del bianco e del grigio. Attira lo spettatore in uno scenario di luce diffusa e avvolgente in un senso di sospensione e tranquillità. 
In altre tele specie nelle rappresentazione di vita comune dove moltitudini di persone affollano lo spazio, i Bruegel mostrano un'abilità eccezionale nello studio del dinamismo sia dello spazio attraverso l'uso della prospettiva, sia della figura umana, del corpo e del movimento. Un esempio è il famoso dipinto di Pieter il Vecchio, Le nozze campestri dove le persone occupano tutto il quadro in una coinvolgente danza contadina. Risaltano la vivacità dei colori che assecondano il vortice della danza.  Entrambi questi due quadri mostrano una sostanziale differenza tra loro per gli opposti sentimenti espressi, gioia e movimento, quiete e tranquillità, colore acceso e quasi assenza di colore. Visti però con occhio quasi fotografico.  Le composizioni in questi quadri sono perfette, nei paesaggi la prospettiva si spinge quasi sino a perdita d'occhio. La mostra mi è sembrata l'insieme di una visione surreale e realistica allo stesso tempo. Un senso di modernità attuale per  universalità dell'attimo di vita colto e rappresentato dal pittore sulla tela.





FRA TERRA E ACQUA
Fotografie a cura degli utenti del Centro Diurno "Giovagnoli" (DSM Asl Roma D)


Cristina Masotti, Sogno in volo

Antonella Cecchi Pandolfini, Riflessi

Antonella Venanzi, Lento Tevere

Antonella Cecchi Pandolfini, Plumbea Anguillara

Marco Buonomi, Poseidon

Virginia Valletta, Cielo e terra

Virginia Valletta, Un altro giorno

Cristiana Masotti, Sguardo storico

Emanuela Tani, Gabbiani

Emanuela Tani, Gabbiani II

Emanuela Tani, Gabbiani III

Emanuela Tani, Cascata

Emanuela Tani, Cascata II

Emanuela Tani, Cascata III

LA CASA DEL PARTO



Siamo andati ad Ostia a visitare la Casa del Parto Naturale “Acqualuce” dove avvengono parti in maniera naturale e in acqua. Veniamo accolti in una bella struttura situata nel verde nelle vicinanze dell’Ospedale di Ostia. Risponde alle nostre domande l’ostetrica Rita Gentile, coordinatrice della struttura.
Domanda: Da quanto tempo fa questo lavoro?
Risposta: Faccio questo lavoro da circa 15 anni, prima ero infermiera professionale e lavoravo sempre in ostetricia, poi ho scelto di cambiare.
D.: Sappiamo che le donne che scelgono di rivolgersi a questa struttura definiscono “magica” l’esperienza del parto. Che emozione si prova ad accompagnarle nel parto naturale?
R.: E’ un’emozione molto grande rispetto a quella dell’ospedale. Ho vissuto prima l’esperienza della sala parto, che è molto forte ma non mi consentiva, del tutto, di dare alla donna quello che veramente volevo dare, perché in quel caso c’è l’intervento del ginecologo e comunque il parto in ospedale è medicalizzato. Lavorare qua è come essere su di un altro pianeta: c’è il contatto con l’acqua, il contatto diretto con le donne, e posso lavorare anche presso l’ambulatorio di gravidanza fisiologica.
Seguo le gravidanze dall’inizio alla fine, sono una delle prime ad aver fatto questa scelta, che mi entusiasma tantissimo. Accompagnare le donne dall’inizio alla fine è una esperienza molto bella, e ritrovarle al momento del parto è ancora più bello. Lavorando in una struttura pubblica non sempre le posso accompagnare fino alla fine, ma va bene lo stesso perché loro vivono la “Casa”, la sentono loro e quindi, quando è il momento del parto, abbassano le difese, sono tranquille, sono rilassate, accettano questo parto come la cosa che hanno sempre voluto e questo le rende molto partecipi.
Oggi mentre aprivo la posta, mi è arrivata una e-mail di una ragazza: la sua bambina ha compiuto un anno e mi ha ringraziato per averla accompagnata in questa esperienza. Mi ha detto: “Senza di te non ce l’avrei fatta”. Ovviamente ce l’avrebbe fatta anche senza di me, però sapere di averla sostenuta e aver rafforzato la sua voglia di partorire in modo naturale mi dà soddisfazione, come anche rivedere i bambini a distanza di tempo. In ogni caso la mamma è la protagonista, non noi, che siamo qui solo per aiutarle e sostenerle.
D.: Dunque, lei aiuta a riconsiderare come totalmente naturale un evento del genere…
R.: Ho intrapreso questa professione con l’idea dell’ostetrica che andava a casa, come una volta. L’ostetrica la vedo come una persona indipendente che va nelle case. Una volta si rischiava molto di più perché le gravidanze non erano controllate, a differenza di adesso che invece lo sono. Le donne sono seguite, quindi è difficile che accadano quegli eventi infausti per i quali c’era il pericolo per la vita della donna. Ci tengo a dire che, se tutto si lascia fare alla natura, le cose vanno bene: non si deve toccare quasi niente. Il lavoro dell’ostetrica è quello di stare “davanti”, di assistere dunque all’evento stesso, e di porre attenzione: è quello e basta. L’ostetrica deve confortare la donna, aiutarla, ma solo se lo vuole, perché, come dicevo, lei è la protagonista. Di solito è questo che dico ad una partoriente: “Sei tu la protagonista, ti devi aiutare”. Per prassi non si deve fare nulla.
D.: E il taglio?
R.: Assolutamente no. Per prassi non viene fatto nulla in questa casa, il taglio non lo abbiamo fatto mai. Se si lascia fare alla natura, non succede nulla di particolare, mentre se il parto è medicalizzato, come succede nella partoanalgesia, a volte il taglio serve. La partoanalgesia è l’anestesia epidurale durante il parto che sta andando spontaneamente: adesso quasi tutte le donne la scelgono. È una questione di scelta culturale: infatti la maggior parte delle donne che si presentano in questa struttura sono inglesi, francesi e tedesche, perché sono state culturalmente preparate sin dall’infanzia a partorire nelle “Case maternità” e vanno proprio a cercare le case dove si partorisce naturalmente, oppure si organizzano per il parto in casa.
D.: C’è una qualche relazione tra il fatto che sono soprattutto donne francesi e il medico Leboyer, che ha parlato della nascita senza violenza?
R.: Leboyer ha fatto il suo tempo, anche perché il suo metodo era attuato soprattutto nella sala parto. Le “Case maternità” nascono proprio per dare la possibilità alla donna di esprimersi come vuole. Anche il training autogeno per me non ha logica dentro una “Casa maternità”, perché ti pone nella condizione di dover controllare la respirazione. Qui, invece, tutto viene fatto a misura del parto, viene curato anche l’ambiente fisico, come ad esempio le luci, l’illuminazione. Il piano emotivo è messo in risalto. L’ambientazione è importante, sembra quasi che sia casa propria. Già alla 33° settimana le future partorienti vengono seguite nel loro percorso. L’ambiente viene a poco a poco reso familiare, addirittura viene messa della musica oppure leggono un libro. Le donne che hanno lottato per tener aperta questa struttura sono proprio quelle che la percepiscono come la propria casa.
D.: Molte donne chiedono di partorire nella casa del parto?
R.: Moltissime. La cosa carina è che le donne si stanno prenotando già per il secondo figlio. Su Facebook è stato addirittura creato un Comitato per la difesa della “Casa del parto” a cui si può accedere per contattarci. Non si tratta soltanto di una difesa della “Casa del parto”, ma anche di sostenere l’idea di un servizio materno-infantile, come questo. C’è ad Ostia un vecchio ospedale, il Sant’Agostino, che raccoglieva diversi reparti che offrivano servizi socio sanitari: purtroppo è stato chiuso perché vecchio, ma era destinato ad essere la “Casa del bambino e della donna”, cioè una struttura adatta ad accompagnare la donna e il bambino in tutto il percorso. Quello che vogliamo fare adesso è occuparlo, perché questa è l’unica struttura del centro sud con queste caratteristiche, mente al nord ce ne sono molte. Il fatto è che dove c’è una casa del parto, abbastanza vicino ce ne deve essere un’altra, poiché i posti letto sono pochi. Ai Castelli romani, per esempio, ci si sta organizzando per aprire un’altra struttura di questo tipo. I protocolli attuati per la “Casa” sono gli stessi utilizzati per i parti a domicilio nella regione Lazio. Sono tante le donne che partoriscono in casa, e si paga anche tanto, ma la regione ha stabilito un rimborso del 70%.
D.: Come mai questa differenza tra il parto a domicilio e quello nella “Casa del parto”?
R.: Sicuramente si tratta di un riappropriarsi del proprio ruolo. La donna, è lei la protagonista qui, mentre nell’ospedale tutto ciò non esiste: di solito la donna ha un ruolo passivo, perché le direttive europee spesso non vengono rispettate. Oggi c’è una maggiore sensibilità, e le richieste per partorire nella “Casa del parto” sono circa 5 o 6 al mese.
D.: Come avviene il parto?
R.: Di solito la donna partorisce come vuole: le stanze sono adeguatamente attrezzate e, se vogliono, possono utilizzare anche la liana, che è una corda con una imbracatura alla quale ci si può sostenere. Se è d’accordo, la donna può partorire anche in acqua. Anche la temperatura dell’ambiente è adeguata, in modo tale che il bambino si senta a suo agio senza lo stress della sala da parto. Le donne portano dei brani di musica a loro gradite. In questa casa partoriscono soltanto due donne per volta. Vengono accolte in una camera dove c’è un letto matrimoniale, in modo che anche il papà possa partecipare fino in fondo alla nascita del bambino. Anche l’ambiente, come la natura in cui si situa questa casa, favorisce a rendere tutto più naturale possibile. Le partorienti possono scegliere se utilizzare la liana, mentre alcune preferiscono partorire in piedi.
D.: Lei pensa che partorire in questo modo possa evitare la depressione post-partum ?
R.: La cosa importante è che anche il marito partecipi a questa esperienza e diventi parte integrante di questo processo. E così ecco che ciò rende possibile la funzione genitoriale: i mariti comprendono meglio l’esperienza che la donna sta vivendo. Viene di solito affermato che la donna deve partorire con dolore, ma non è sempre così e bisogna sfatare questa leggenda.

Antonella Venanzi, Antonella Cecchi Pandolfini. 
Maurizio De Angelis, Virginia Valletta


LE EMOZIONI NELL'OBIETTIVO


Presso il Municipio Roma XVI in Via Fabiola 14 è in corso fino al 10 maggio una mostra fotografica realizzata dagli utenti del laboratorio audiovisivo del Centro diurno "Giovagnoli" D.S.M. ASL ROMA D con il patrocinio del Municipio.











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SPAZI IN MOVIMENTO
Fotografie a cura degli utenti del Centro Diurno "Giovagnoli" (DSM Asl Roma D)

Virginia Valletta: Ombrello rosso
Maurizio De Angelis, La neve in città

Antonio Sforzini, Donna Olimpia

Antonio Sforzini, Il cielo in un imbuto

Maria Cristina Masotti, Vigili del fuoco

Anonimo, Dalla finestra

Virginia Valletta, Notturno

Antonio Sforzini, Il cielo in un imbuto / 2

Antonio Sforzini, Donna Olimpia / 2

Antonella Venanzi, Al mercato

Virginia Valletta, Strade vuote

Virginia Valletta, Il fiume

A passeggio davanti a Castel Sant'Angelo

  “PERCORSI”

INTIMITÀ / CONDIVISIONE, PRESENZA / ASSENZA
Presentazione di Patrizia Vincenzoni
'Intimità e Condivisione' sono stati i luoghi psichici,inevitabilmente relazionali,che hanno permesso la strutturazione di questo evento che attiene al narrare attraverso la fotografia.
E' una narrazione soggettiva e gruppale costruita,nel tempo,attraverso il dialogo verbale e non, permettendo di vivere la dimensione della intimità, favorendo, in un gioco reciproco, la condivisione, il 'far parte di'.
Tali costrutti sono esperienze di relazione continuativa e costante vissute dagli utenti attraverso 'il fare' del laboratorio fotografico,il quale si snoda in senso processuale come contesto emotivo e relazionale con necessarie caratteristiche di insaturazione,per permettere il dispiegarsi della libertà creativa dei singoli e del gruppo.
La fotografia e gli accadimenti che si attivano partendo da questa,costituisce uno spazio transizionale conservando una dimensione,non già definita a priori,che si struttura anche attraverso un piano temporale il quale,a sua volta,promuove memoria storica ed emotiva.
La fotografia,dunque,come elemento di un processo di rappresentabilità di sé nelle situazioni socio-culturali che il soggetto vive e coglie,mediando ciò attraverso una percezione personale che già si prefigura come funzione di negoziazione psico-sociale e culturale.
L'intero percorso del gruppo di fotografia si è 'mosso' anche attraverso la polarità 'presenza/ assenza',polarità non contrapposte a ' intimità/ condivisione',ma processualmente e dinamicamente alternanti nel loro essere presenti.   Possiamo dire che nel contesto gruppale,sistema che racchiude le soggettività,tali potenzialità sono state espresse come 'proprietà emergenti' grazie alle connessioni e correzioni che i sistemi viventi operano, esistendo.
Quello che è irrappresentabile,che non ha senso,al quale la parola non ha accesso,può avvalersi della funzione di mediazione simbolica che appartiene alla fotografia,al fotografare.   La percezione del 'come se' metaforico attribuisce valenza simbolica al  processo della ricerca di espressione di sé,grazie al fotografare e alla possibile consapevolezza verso la quale i soggetti sono stati accompagnati.
Ciò permette di ripristinare le competenze,di disegnare confini e senso del limite.
Abitare,quindi, lo spazio soggettivo e riconoscere quello dell'Altro,attraverso il quale è possibile transitare.
Tale passaggio che i singoli operano è un' esperienza relazionale,evento storico,che assegna identità e permette di rappresentarsi la realtà e di abitarla.
Il linguaggio fotografico,infine,è polisemico ed in tal senso raccoglie il discorso riabilitativo e la funzione relazionale specifica che lo distingue,funzione che si modula attraverso metodologie di lavoro che trovano nelle gruppalità una loro espressione complessa ed in tal senso aperta alle probabilità di accedere,nel tempo,al cambiamento.
Il laboratorio fotografico diventa così terreno teorico-clinico del lavoro terapeutico-riabilitativo,nel quale gli utenti portano e 'sono corpo', al di là e prima delle parole.
In questo progetto che si traduce,oggi,in una mostra, ' intimità / condivisione ' e  'presenza/ assenza' non sono trascritti,per così dire,nelle foto,non compaiono,non si vedono,ma sono comunque condensati psicologicamente in ognuna,non come visibile nell'immagine.   Piuttosto come 'precipitati 'di esperienze relazionali,nelle e attraverso le quali la mediazione del corpo e degli stati mentali pre-corporei possono,integrandosi,cercare accoglienza.
La rappresentabilità di sé attraverso la mediazione simbolica del linguaggio fotografico è diventato così un processo che trova, nelle dinamiche socio-culturali, il contesto attraverso il quale gli utenti possono sviluppare una necessaria funzione di negoziazione psico-sociale.

Patrizia Vincenzoni, psicologa e psicoanalista

 Germano D'Ovidio, Urszula Gaworek, infermieri professionali

Stefano Martinez tecnico Laboratorio Audiovisivi coop.AelleilPunto
Centro Diurno 'Giovagnoli'  D.S.M. ASL-ROMA-D
Nicola Barricelli: La torre

Virginia Valletta: Kermesse natalizia

Anonimo: Il blu

Maurizio de Angelis: Sguardo

Daniela di Modugno: Loro
Virginia Valletta: Rosso

Maria Cristina Masotti: Urlo



Silvia Pappalardo: Due

Silvia Pappalardo: Verde

Virginia Valletta: Luci


Antonella Venanzi: Ombrello rosso

                                                                    

2 commenti:

  1. più le foto sono strane più interessano

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  2. sono bellissime, sono molto attratta da tutto questo lavorìo sulle immagini, complimenti

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