Maria Vayola
"Un pallido orizzonte di colline" di Kazuo Ishiguro
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La loro quotidianità, la loro cultura è stata squarciata, prima da bombardamenti furiosi e poi dai funghi atomici che, non solo nelle città colpite, ma in tutta la nazione hanno creato uno sconcerto esistenziale, una demarcazione tra il prima e il dopo, un'insicurezza generale rafforzata dall'occupazione americana del dopo guerra.
Di questo non se parla apertamente nel libro, è qualcosa che aleggia all'interno della narrazione, è qualcosa che noi sappiamo essere successa, ma che non viene affrontata direttamente, si riflette nell'indeterminatezza dei personaggi, nell'atmosfera fumosa che si respira.
Una vena di tradizionalismo serpeggia tra i protagonisti, più marcata tra quelli più anziani e negli uomini impauriti dalla perdita dei privilegi all'interno della famiglia nel rapporto con le loro mogli e i loro figli, mentre le donne reagiscono con maggiore duttilità anche se a volte in modo scomposto lasciandosi trascinare in situazioni poco rassicuranti.
Le vicende personali, la più drammatica quella di Etsuko che ha perduto una figlia che si è suicidata, non trovano soluzioni, niente si affronta veramente, nulla è risolto, tutto - fatti e personaggi - rimane sospeso, come una sequenza armonica senza risoluzione.
L'altro con cui entrare in contatto, è sia esterno: la situazione storica, la società che si modifica in modo forzato, il rapporto tra persone con diversi vissuti, caratteri, prospettive che si trovano a vivere lo stesso periodo storico; sia interno: l'eterno conflitto dualistico di chi non sceglie di cambiare ma ci è costretto, facendo anche i conti con le proprie storie e fragilità individuali.
Lo sguardo di Etsuko verso l'esterno non riesce ad individuare una meta definita, ma si scontra contro l'evanescenza di un pallido orizzonte di colline.