mercoledì 12 dicembre 2018

Le interviste di MVL / Andrea Pomella

Allo scrittore Andrea Pomella, che abbiamo avuto come ospite da Plautilla il 4 dicembre, abbiamo rivolto alcune domande a partire dal suo ultimo romanzo L'uomo che trema (Einaudi 2018). Ecco cosa ci ha risposto:

È vero che per conoscere il mondo devo conoscere il mio mondo e il linguaggio che lo esprime?

Ogni cosa esiste nel linguaggio, nulla esiste al di fuori di esso. Un libro è una metafora perfetta della realtà sensibile, è un oggetto afono, chiuso, inerme, poi nell’istante in cui un lettore lo apre e inizia a leggerlo, il mondo che vi è contenuto improvvisamente prende vita, genera delle conseguenze. Ogni libro è un mondo che si esprime attraverso un linguaggio, e ogni mondo è un libro. In questo senso il mio non è quel che si dice “un libro sulla depressione”, è più un libro che racconta il mio mondo attraverso il linguaggio della depressione. La depressione è una lente che filtra la realtà, è appunto il linguaggio che la esprime.

È in qualche modo la scrittura un atto di generosità, un dono che si mette a disposizione dell’altro?

La scrittura non è mai un fatto individuale. Non si scrive per sé, altrimenti non si scriverebbe e basta. L’invenzione stessa della scrittura risponde al bisogno di condivisione del pensiero. Per quanto mi riguarda, scrivere non può essere altro che questo: mettere a disposizione una storia, mostrare i polsi, è come dire: “Questo è tutto ciò che ho”.

Si può parlare di valore sociale di un prodotto intellettuale come il romanzo e il suo in particolare si può attribuire un tale valore? E se sì in che modo?

Si dice che un prodotto artistico debba sempre mirare a produrre un cambiamento all’interno della società a cui si rivolge. Che sia piccolo o grande non importa. Se il mio romanzo abbia o meno un valore sociale non sta a me dirlo. Posso dire però che ho scritto il libro tenendo ben a mente questo presupposto e sapendo che stavo affrontando un tema che ha, sì, un enorme impatto sociale. Molti lettori mi confidano che leggendolo hanno compreso meglio alcuni aspetti di sé, della propria storia, o che banalmente si sono riconosciuti e quindi si sono sentiti meno soli. Anche questo, forse, è un modo di incidere sulla realtà.

(Daniela Moriconi)


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