Allo scadere dell’anno di celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia, desidero suggerire a Monteverdelegge e a tutti i suoi vecchi e nuovi associati (non so adoperare l’asterisco che comprenderebbe maschile e femminile, e mi dolgo di non essere capace di dare un’unica desinenza ai due generi), desidero suggerire, dicevo, la lettura di un agile e sapido libretto, che coinvolge la storia di Roma, e d’Italia, e ancor più quella di Monteverde, anche al di fuori, al di là, al di sopra, e perfino al disotto del tema annuale del viaggio.
Si tratta di Roma 1849-Gli stranieri nei giorni della Repubblica ad opera di Brunella Diddi e Stella Sofri, entrambe a pieno titolo monteverdine e socie di Monteverdelegge, uscito da qualche mese per i tipi di Sellerio. Non da storica ne parlo, me ne guarderei bene, e le stesse autrici non si ritengono tali.
Agile per formato e per stile, sapido per lo sguardo (anzi gli sguardi) che, dal titolo stesso si comprende, allarga e al contempo stringe gli orizzonti della ricerca. Gli stranieri, le donne, doppiamente straniere. Si avvale di molti testi editi, e di un Mémorial inedito della legione polacca, e privilegia le testimonianze contemporanee, spesso delle parti avverse, sugli accadimenti.
Nel corso dei vari capitoli accade che lo stesso episodio venga narrato più volte: come se un obiettivo spostasse di continuo il proprio punto di vista, focalizzando un dettaglio prima trascurato, zoommando o allontanandosi dalla scena. Ne emergono personaggi interessanti, la scena si vivifica, nomi incontrati nei viali dei nostri parchi assumono fattezze e pensieri e carne e sangue, Laviron, Rozat, Della Vedova, Wern, Ledouc, percorrerli dopo avere letto quelle pagine dà nuovo senso al nostro passeggiare, si percepisce la speranza e il dramma, la generosità e l’intrepido coraggio di uomini giovanissimi e, ci tengo a sottolinearlo, di donne perfino più coraggiose, perché si trovano a dover sfidare i più retrivi pregiudizi, ivi compresa l’accusa, nemmeno velata, di essere donne di dubbia moralità, se non decisamente prostitute.
Non vi si parla, se non en passant, dei grandi protagonisti: è una storia minore, apparentemente, di quella parte un po’ invisibile della storia, che tuttavia fornisce i chiaroscuri che rendono il quadro più interessante e vero, popolato, animato.
Tra le sorprese più piacevoli segnalo una scelta stilistica di narrazione, della quale quasi mi sento colpevole a parlare, come se anticipassi la soluzione di un intreccio noir. Quella di far precedere alcuni capitoli da un “corsivo” che dal passato irrompe nell’oggi, e che a fronte del rumore delle armi, del sangue sparso, della concitazione dei comandi, delle urla dei feriti, fa apparire il presente come un ovattato e silenzioso incedere sulle tracce di quel passato. Elegante ed efficace.
Sorvolo sui moltissimi spunti, i dettagli, i primi piani, o le panoramiche: ognuno dovrà goderne per come vorrà. Voglio terminare con una considerazione non del tutto amara, che è la stessa del libro. A proposito del cammino delle donne verso l’emancipazione, alla mancanza, nella Costituzione della Repubblica Romana, di articoli sulla parità tra i generi, alla “moderazione” di Cristina di Belgioioso e al suo lucido sacrificare la causa femminile al più importante processo di unità nazionale, il libro chiude: Quanto all’altro riconoscimento (oltre alla parità formale sancita dall’art. 48 della nostra Costituzione), quello della partecipazione attiva delle donne al processo di unità nazionale, solo in tempi recenti la storiografia femminile si è impegnata a dare voce all’altra metà del Risorgimento. La madre patria ha figli, ma stenta a riconoscere le figlie.