sabato 7 dicembre 2019

"Laboratorio officina poesia": una biografia di Gregory Corso





POESIA   RIBELLE
di Bruno Pinsuti Berrino

Nella storia recente della poesia lascia un segno significativo e spiazzante l’opera e l’esperienza di vita di Gregory Corso (Nunzio Gregorio Corso), italo-americano nato a New York nel 1930 e morto a Minneapolis nel 2001. 




Da adulto vive un periodo significativo a Roma, mescolando sempre la sua arte con ogni disimpegno di tipo civile, sostenendosi con l’alcool e la vita a zonzo nel quartiere di Campo de’ Fiori. Innamorato di Roma e della sua magica atmosfera, chiede, prossimo alla fine, che le sue ceneri trovino riposo nel cimitero acattolico della città, vicino ad un poeta del passato, Percy Shelley, da lui molto amato, proprio perché dalla lettura dei suoi versi, aveva potuto intravedere l’importanza e la potenza dell’arte, per vivere la propria creatività con pieno senso di libertà.
Sulla lapide una sua poesia ci ricorda il vasto spazio in cui naviga il suo pensiero :
“ Spirit/is Life/ It flows thru/the death of me/endlessy/like a river/unafraid/of becoming/the sea”;  (Lo Spirito/è Vita/Attraversa/la mia morte/all’infinito/come un fiume/che non ha paura/di diventare/mare”).
Fin dall’inizio Gregory ebbe la sfortuna di essere abbandonato, all’età di un anno, da due giovani genitori di origine italiana, impreparati ad una convivenza normale e ad allevare un figlio. Con questo incipit segnato e tutto in salita, comincia il sofferente ‘inferno’ terreno del ragazzo, con spostamenti in alcune famiglie adottive e ancora un breve ricongiungimento con il padre naturale, successivamente abbandonato, finendo poi per tre anni in prigione per furti commessi. Lì comincia però il suo cammino tramite importanti letture di scrittori e poeti, che mettono le ali alla sua innata e originale ispirazione.Così viene rievocata la sua avventura poetica dopo l’esperienza del carcere. Nelle date che segnano il suo passaggio vitale, “si racchiude una forsennata esistenza di vagabondaggi sulle due sponde dell’Atlantico e di letteratura che ha segnato un’epoca. Con Jack Keruac, Allen Ginsberg e William Burroughs, Corso fu il quarto membro del canone della “Beat Generation”: i beatniks, i nuovi scrittori maledetti, i ribelli di una controcultura che prese il romanzo e la poesia, li mise in un frullatore riempito di alcool, tabacco, droga, sesso, risse, viaggi coast to coast in autostop, rifiuto del lavoro e delle norme, trasformandoli al punto da renderli irriconoscibili”. (cfr. E. Franceschini, “Le pagine orfane e segrete del quarto moschettiere Beat”, in “La Repubblica” del 15/07/2007).Nei suoi spostamenti dall’America all’Europa si manifesta la sua condizione di straniero dal comportamento atipico. Alieno può essere la parola più adatta per capire anche la vita randagia e ribelle di Gregory Corso. Chi lo ha conosciuto poi durante il suo soggiorno romano ha qualche elemento per capire come il poeta, forse inconsciamente, cercava le sue radici, senza però rinunciare alla scelta di vita totalmente precaria: “A Campo de’ Fiori il poeta americano si identificava spesso con Giordano Bruno “bruciato vivo”. Tra quanti lo conoscevano c’erano due tipi di persone: quelle di cultura, affascinate dalla sua figura, e quelle di tutti i giorni, da bar, che non lo sopportavano: “Cominciava a bere al mattino, e lo si poteva trovare accasciato per terra. Qui, da Giorgio il vinaio, lo cacciavano spesso”.
Quanto alla sua povertà, possedere qualcosa non era nel suo modo di essere, sarebbe stato un vincolo eccessivo.” (cfr. Beppe Sebaste, “Vita aliena di Gregory Corso nella Roma di angeli e spiriti”, in “La Repubblica”, 22/05/2007, p. XIII).
Interessante anche la citazione di alcuni suoi versi: “My beliefs in Roma” (“Il mio credo a Roma”), …. in 12 frasi numerate, nello stile degli elenchi. La prima frase, dal sapore buddista, dice : “Io non sono Dio; Dio è in me. Io non sono tutto; Dio è tutto. Io non sono te; Dio lo è … L’ultima dice : “Può darsi che io non sappia/tutto quel che c’è da sapere/ma so con certezza che/non c’è poi così tanto da sapere”. (cfr. B. Sebaste, art. cit., p. XIII).
Ed è sulla poesia che si devono concludere queste brevi note, perché dicono molto di più dell’uomo e della sua intrigante visi
one poetica.
“SALVE” : Come può esserci un dio/ quando gli asini/ preferiscono la paglia/ all’oro/ e persone meglio informate/ preferiscono l’oro/ e quando scappano con l’oro/ gli sparano nel dorso./ Quando le galline/ mangiano uova sode/ e di certo/ non può esserci un dio/ quando i Gregory/ sono chiamati Corso.”
E ancora,  “IL DUBBIO DELLA MENZOGNA”: “ Fu l’umanità a dirmi/ che prima o poi dovevo morire./ Non mi fido dell’umanità/ Fanno male gli uni agli altri/ E sono piuttosto inaffidabili/ Dunque come potrei credere/ che prima o poi devo morire ?/Del sole nemmeno mi fido/ può scoppiare/ da un momento all’altro/ E come posso fidarmi di quelli/ che inquinano il cielo/ con Paradisi/ gli abissi con Inferni”.

Gruppo di lettura "Libri nuovi": I vagabondi di Olga Tokarczuk




L'ultimo libro su cui il Gruppo di lettura "Libri nuovi" ha dialogato  è stato "I vagabondi" di Olga Tokarczuk.  Il testo è complesso e, nel definire il viaggio e lo spostamento da un luogo all'altro delle persone non solo come una necessità umana ma anche come desiderio, mette in campo una serie di problematiche inerenti il vagabondare della mente e del corpo nella tensione di conoscere il mondo che ci circonda e noi stessi. Qui sotto leggerete una riflessione che Laura Flores, una partecipante al Gruppo, ha scritto e a cui speriamo seguano altre riflessioni che permettano una comprensione maggiore del testo. 


Per me è stata una lettura difficile, in cui spesso anch'io mi sono persa e ritrovata, ho imboccato strade che finivano contro un muro e altre che aprivano spiragli sull'abisso. Ho anche pensato di mollare, interrompendo il vagabondaggio. Oggi, giunta al termine, mi sembra illuminante questo suo passo :"La vita mi è sempre sfuggita dalle mani. Ho sempre e solo trovato delle tracce, i resti della sua muta." Tra i vari indizi, mai veramente risolutivi, che la scrittrice semina nel libro, ci sono riferimenti geografici, nomi di strade, di luoghi, di fermate di metropolitane e mappe. Anche di fronte a queste ultime, dopo un' iniziale illusione di ritrovare finalmente " punti fermi", ci si perde di nuovo. Le mappe sono troppo antiche,oppure troppo dettagliate, oppure le indicazioni sono in caratteri sconosciuti. Insomma, le mappe esistono, ci confortano, ma non  risolvono. Tutti i tentativi di catalogazione, tassonomia e cartografia che l'uomo ha compiuto e compie sono commoventi e forse necessari, per darci l'impressione di poter finalmente tornare a una casa con le finestre illuminate che forse ci attende ancora o forse no. Restiamo nel nostro vagabondare, tra incontri e fughe, con la difficoltà di entrare nei vari ruoli richiesti e la tentazione di prendere il primo volo verso qualunque meta.