domenica 7 dicembre 2014

La poesia della domenica - Stephen Spender, Rozzi

Che dire? È una poesia molto semplice, e bella. Si può assaporare in pace, senza affaticare l'occhio nella ricerca di note a pie' di pagina che ci svelino significati reconditi.
Gli ulteriori significati possiamo donarli noi, come sempre accade quando scorriamo un testo.
Può magari tornare alla mente il romanzo Agostino, di Alberto Moravia, dalle analoghe tematiche (alla mente dei bravi ragazzi che l’hanno già letto, ovviamente).
Oppure può balzare alla nostra evidenza come, al tempo dell'infanzia di Spender, i poveri, una razza a parte, con leggi e pulsioni affatto diverse, disprezzavano e irridevano i ricchi (il che accadeva anche al tempo della mia infanzia, a dir la verità, negli anni Settanta).
Una differenza piuttosto netta coll’oggi, dove la media borghesia e i pezzenti si spintonano sulla battigia per fotografare con strepiti d’invidia gli yacht dei milionari cafoni.
Cose così, che vengono in mente. Tra le altre.


I miei genitori mi tenevano lontano dai bambini rozzi
Che gettavano parole come pietre e indossavano vestiti laceri.
Mostravano le cosce agli strappi. Correvano per la strada
E scalavano rupi e si spogliavano lungo i ruscelli in campagna.

Temevo più delle tigri i loro muscoli di ferro
Le mani pronte a spingere e le ginocchia puntate sulle mie braccia.
Temevo lo scherno volgare e salace di quei ragazzi
Che imitavano il mio parlare bleso, dietro di me, sulla strada.

Erano agili, balzavano fuori dalle siepi
Simili a cani per abbaiare al mio mondo. Gettavano fango
Mentre guardavo da un'altra parte, fingendo di sorridere.
Ero ansioso di perdonarli, ma loro non sorridevano mai.

Da Poesie, 1999 (traduzione di Alfredo Rizzardi)

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