domenica 1 giugno 2014

L'incipit della domenica - Pitigrilli, Breve autobiografia scherzosa

Pitigrilli
Scrivere l'autobiografia è un mostrare al pubblico la nostra biancheria intima. Lo farò sebbene io pensi che questo atto non è mai sincero, perché, per l'occasione, se ne indossa di quella pulita.
Non posso scrivere che il primo capitolo, poiché il secondo debbo ancora viverlo.
Età: anni 26.
Statura: m. 1, 75.
Colorito: roseo.
Corporatura: snella.
Dentatura: sana.
Naso: regolare.
Mento: idem.
Bocca: idem.
Segni caratteristici: non ne ho.
Non risulta nulla sul mio casellario giudiziario.
Studi compiuti: Università, dove debbo anche essermi laureato in qualche cosa.
Fui vaccinato nel 1914.
Porto colli n 37.
Non ho ancora la sifilide.
Conformazione del cranio: diametro longitudinale cm. 31; diametro trasversale cm. 31. Sono dunque mesaticefalo.
Mesaticefalo biondo.
Questo, per l'antropologia.

Fino a 22 anni, nulla d'interessante.
A 4 anni: tifo.
A 12: pùbere.
A 13: prima sigaretta: vomito; ultima sigaretta.
A 19: amore travolgente per una donna dagli occhiali. Non c'è nulla di più grottesco che una donna nuda con gli occhiali. Questo spettacolo raccapricciante ebbe grande influenza sulla mia vita, come certi spaventi provati da ragazzo.
A 20: amore per una donna che non mi amava.
A 21: la donna non mi amava ancora.
A 22: nemmeno: ma verso la fine dell'anno si decise.
A 23, 24, 25, 26: amore folle per la stessa donna. Sono un ma-gnifico esempio di costanza e di fedeltà, degno d'essere immor-talato, per lo meno, in un libretto d'operetta, o in un calendario tascabile profumato.
Sono vendicativo come i pellirosse, ho la memoria vendicativa degli elefanti.
Ho vissuto molto tempo a Torino, quella città di sogno e di imbecilli ove si crede che Arturo Foà sia un poeta, Berta un commediografo, Golia un artista, Ferrettini un critico, Bosia un genio.
Ho pubblicato qualche libercolo ignobile, moralissimo, che piacque molto ai fessi.
Ho scritto un profilo dell'unica poetessa che abbia l'Italia, per dimostrare che è falso ciò che si mormorava sui nostri rapporti. Ma non debbo esserci riuscito, perché se prima si mormorava, adesso si urla.
Ho al mio passivo dei versi. I versi sono quella cosa che nessuno legge, ma che tutti scrivono.
Ho pubblicato degli articoli sulle principali riviste italiane. Qualcuno non è schifoso.
Sono stato molte volte sul punto di pubblicare dei libri di 400 pagine. Ma ho il dono di quella benefica fognatura spirituale che è l'autocritica.
Apparvero dei miei versi sulla rivista 'La Donna', bidet intellettuale. Ma non è nulla! Ho anche scritto su 'Numero', giornale sedicente umoristico torinese. E, quel che è peggio, ho avuto l'incoscienza di firmare. È una triste abitudine contratta da ragazzo. Ricordo che fin da allora facevo la mia firma sugli orina-toi.
A Torino ho sempre detto a tutti ciò che pensavo, e mi sono creato un cimiciaio di nemici che mi chiuse le porte del giornalismo torinese. Fu un direttore non torinese – Italo Minunni –  quello che me le aprì.
Una rivista di Milano mi ospitò molte villanie indirizzate ai miei concittadini, che mi valsero una nuova raccolta di nemici, i quali si vendicarono cercando di farmi una fama di pederasta, di mantenuto dalle donne e di amante di mia sorella. (Quale?) ...
La prima accusa è quella che mi offende di meno, perché più conosco le donne e più stimo i pederasti.
Recatomi a Roma per assistere a una commedia che mi interessava, conobbi Tullio Giordana, giornalista vulcanico, energetico, dinamico, formatosi alla scuola di Gordon Bennet, il quale mi prese con sé nella redazione dell' "Epoca", facendomi percorrere in un anno la carriera che nel giornalismo torinese non si fa in un trentennio.
Non so scrivere italiano, perché noi settentrionali dobbiamo studiarlo come si studia una lingua straniera.
A Parigi parlo francese. Debbo avere un ottimo accento perché nessuno s'accorge che sono italiano. Credo che mi prendano per moldovalacco.
Non capisco niente di politica. Qualche volta leggo l'articolo di fondo del mio giornale per sapere come la pensa il mio direttore, e quindi quale dev'essere la mia sincera e spontanea convinzione politica.
La mia insensibilità per la politica estera e la politica interna sono la miglior garanzia di serenità di giudizio. Inviato speciale in Jugoslavia, non mi sono accorto che quei simpatici croati era-no nostri nemici e ho scritto degli articoli fioriti di tenerezza e di fraternità. A Fiume non mi sono più ricordato che dovevo subito essere impressionatissimo dal carattere spiccatamente italiano della città italianissima, e ho scritto un articolo il cui titolo:
Fiume, città asiatica, era tutto un programma, e che mi valse la scomunica del Consiglio Nazionale di Fiume, alcuni articoli ingiuriosi sui quotidiani di Roma, e l'amore eterno dei croati d'ambo sessi.           
Inviato speciale a Napoli per la campagna elettorale, ho scritto venticinque articoli senza capirne niente. Appunto allora ho cominciato a credere alla subcoscienza.
Ho dovuto occuparmi anche di sport, sebbene non distingua il cavallo dal fantino, il ciclista dalla bicicletta. E me ne vanto.
Per poco non rovinai una rivista settimanale con un articolo contro l'egoismo dei vecchi, i vecchi nel nostro paese godono di une bonne presse. E il mio articolo gettò un tale allarme, che molti disdissero l'abbonamento; altri si accontentarono di scrivere delle ingiurie cumulative per il direttore e per me.
I miei gusti?
Mi piacciono le pochades. Ci vuol più ingegno a scrivere Occupati d'Amelia, che La maschera di Bruto e Glauco.
Detesto la letteratura dove c'è della gente scamiciata che annaffia l'orto, gioca alle carte, si soffia il naso con le dita, e dove le donne si chiamano 'mamma Rosa' e gli uomini 'compare Tonio'. Leggo solo i romanzi e le novelle in cui gli uomini usano camicie di seta e le donne fanno il bagno tutte le mattine.
Sono vegetariano, ma, quando ho dei commensali, mangio della carne per non aver l'aria di posare. Ma poiché non sono abituato, ne mangio anche quando sono solo, per abituarmi.
Non bevo alcool. Credo che pochi bevano alcool. Del vino bianco e dei liquori, sì.
Mi piacciono i cani; e in ogni novella ne faccio entrare uno, come il Veronese nei suoi quadri. (Nei miei confronti sono anche modesto).
Tengo la penna fra l'indice e il medio come tutti i parrucchieri intellettuali, ma non mi sono ancora fatto fotografare dinanzi alla mia scrivania, con la libreria per sfondo, una rosa languente sotto i miei occhi ispirati.
Non ho un motto da far imprimere sulla carta da lettere, ma se dovessi sceglierne uno, assumerei questo ammonimento di Yang-Ciù: "Se con uno dei tuoi peli tu potessi salvare l'universo, non darlo!".
Nessuna donna si è mai recisa la carotide per me. Non ho una fortuna fantastica con le donne, perché non so mai come regolarmi. Se le desideri, ti dicono che sei volgare come tutti gli altri uomini, se non le desideri, ti danno dell'impotente.
Non invidio nessuno. La sola cosa che invidio è la forza fisica.
Tutte le donne, anche le principesse del sangue – come dice il mio grande amico Angiolo Paschetta – si possono avere, pagandole. È questione di prezzo.
I denari si guadagnano o si rubano.      
La notorietà si raggiunge col bluff.
Ma la forza bisogna riceverla in dono dalla natura, come la gobba e il cretinismo. Vorrei essere forte per rompere il muso al 75 per cento del mio prossimo.
Mi sono venute fra mano molte vergini, ma le ho lasciate andare senza spargimento di sangue.
Non cerco moglie.
Non ho figli. E ne soffro. Vorrei che una donna mi facesse un figlio, e poi se ne andasse a farne per conto di altri, se vuole, ma mi liberasse subito della sua presenza. Un figlio che avesse dieci anni quando io fossi ancora giovane, per potergli dare un'educazione spregiudicata, non viziata dalla mia decadenza inevitabile.
Quando qualche stupido o qualche signorina mi domandava se è vero che mi ossigeno i capelli, rispondevo di no.
E tutti erano persuasi che me li ossigenassi.
Ora dico che mi ossigeno.
E nessuno lo crede.
Non ho nessuna stima per gli uomini e per le donne.
Tutte le donne sono prostitute, meno nostra madre e la donna che amiamo in questo momento. In ogni donna c'è una prostituta come in ogni uomo c'è un soldato. Le donne virtuose sono i casi sporadici come i riformati e i renitenti.
Le donne, che da sole farebbero dei chilometri piuttosto di spendere venti centesimi in tranvai, quando sono con un uomo, per attraversare la strada esigono l'automobile. Tutte le donne si vendono, una per un caffè, un'altra per una cena, un'altra per un biglietto di cinematografo; questa si darà per ottenere una promozione al marito, quell'altra per dar da mangiare al figlio, quell'altra per una nobile vendetta, e quell'altra ancora per salvare l'onore della famiglia.
Gli uomini sono tutti ladri, meno nostro padre e l'uomo col quale stiamo discorrendo. L'onestà degli uomini è regolata da una tariffa. Ogni coscienza ha una tariffa. C'è chi fa delle bassezze per otto soldi e c'è chi non si deciderebbe a commetterle per un milione.
Ma se gliene offrite due si deciderà.
Se per due milioni non cede, provate a offrirgliene tre.

Il grado di corruttibilità delle diverse coscienze è come il punto di fusione dei diversi metalli. Ogni coscienza ha il suo punto di fusione.

* * * * * 

Non ho una fede, e invecchiando sento prepotentemente il desiderio di credere. Ma è un desiderio sterile.
È un priapismo mistico.
Ho cercato la fede in un convento domenicano, presso un monaco di un'erudizione spettacolosa. Ma alle mie domande ri-spose con un formulario così freddo, arido e poco convinto che abbassò in me il calore, lasciandomi più ateo di prima.
Un'altra volta un frate dalla gran barba e dai lunghi capelli, smuovendo con le maniche, in un ampio gesto ieratico, alcuni metri cubi d'aria intorno a sé, mi disse con voce grave:
"Io so che Dio esiste. Io le dico che Dio esiste".
Ne fui scosso. C'era nel suo aspetto venerabile una sicurezza persuasiva. Per molto tempo rimasi sotto l'impressione di quelle parole magnetizzanti.
Ma un giorno immaginai quello stesso frate vestito d'un so-prabito da mezza stagione, pettinato accuratamente, raso come una persona pulita, e con i baffi tagliati all'americana.
E le sue parole non mi impressionarono più.
Ciò che mi aveva impressionato era la barba.
E così mi sono spiegato il fascino dei vecchi templi, che consiste tutto nell'essere vecchi e nell'avere gli altari e i leggii intarlati e graveolenti, e i sepolcri dalle epigrafi indecifrabili. Le chiese fresche, di recente costruzione, non attirano, e debbono lasciar passare molto tempo prima di farsi una clientela solida e affezionata.
Ho poi cercato la fede nelle scienze biologiche e naturali. Ma la scienza ha il potere di accrescere la fede in chi vi è predisposto e di ucciderla in chi è predisposto all'ateismo. Quando si ha la predisposizione a credere in Dio, si trovano in ogni cosa i segni del suo alto intelletto. Un salumaio misticheggiante, direbbe: "Come è stato grande il buon Dio! Nel creare i maiali per il ri-pieno dei salami, ha anche pensato a provvederli di intestini per fare l'involucro".
Forse nella contemplazione puramente estetica, cromatica, esteriore del paesaggio riuscirò a credere in qualcosa di meno brutale (ma certamente meno bello) della materia. La mia modestia mi permette di riprodurre tre versi giovanili che mi piacciono, e nei quali ho espresso bene la mia idea:

O cielo azzurro, o mare d'eliotropio,
fra voi ritroverò forse quel Dio
che persi un giorno sotto il microscopio!

Ho cercato anche la fede fra le file della "Salvation Army" e fra i teosofi. I militi dell'Esercito della Salvezza sono degli isterici in divisa; i teosofi sono degli allucinati, e la teosofia è il bigottismo degli snob.

1 commento:

  1. letto per la prima volta a 12 anni nell'antologia "Umoristi da tutto il mondo",educò in me l'ironia,mi fece scoprire l'insospettabile significato del termine "pederasta" emi stampò nella memoria la folgorante verità dei tre versi sull'eliotropio e il microscopio, suggerendomi per intuizione la differenza fondamentale nella posizione umana di fronte a Dio fra pretesa e abbandono

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