domenica 22 giugno 2014

L'incipit della domenica - Claudio Lolli, Canzoni

Claudio Lolli (1950), bolognese, musicista, scrittore e professore di liceo, ha una tendenza irresistibile a passare inosservato. Non che non abbia avuto successo in passato: anzi, ha avuto un discreto seguito; non che non abbia avuto estimatori: anzi, parecchi, tuttora, lo apprezzano; no, forse per una mancanza di empatia, o di solide pubbliche relazioni, egli non rientra mai fra i santini del cantautorato italiano: quei nomi ormai proverbiali, sempre sulla punta della lingua della citazione, anche da parte di chi la musica la ascolta distrattamente. Fra i santini - citatissimi, sempre, pure a sproposito - egli non c'è; quasi mai, almeno. Vi manca pure - fra i santini - Giorgio Lo Cascio (1951-2001): Giorgio Lo Cascio, il romano del Folkstudio, quello che suonava assieme a Francesco De Gregori e Antonello Venditti: autore di eccellenti  brani (fra cui il capolavoro Fiori chiari e fiori scuri), di lui si ricorda ormai pochissimo (si fatica pure a trovarne i dischi).
Perché accadono queste cose? E chi lo sa. Io non lo so. Forse la gente è pigra, forse è conformista. Forse alla gente piacciono i santini e guai a toccarglieli.

Claudio Lolli
HO VISTO ANCHE GLI ZINGARI FELICI
E' vero che dalle finestre
non riusciamo a vedere la luce
perché la notte vince sempre sul giorno
e la notte sangue non ne produce,
è vero che la nostra aria
diventa sempre più ragazzina
e si fa correre dietro
lungo le strade senza uscita,
è vero che non riusciamo a parlare
e che parliamo sempre troppo.

E' vero che sputiamo per terra
quando vediamo passare un gobbo,
un tredici o un ubriaco
o quando non vogliamo incrinare
il meraviglioso equilibrio
di un'obesità senza fine,
di una felicità senza peso.

E' vero che non vogliamo pagare
la colpa di non avere colpe
e che preferiamo morire
piuttosto che abbassare la faccia, è vero
cerchiamo l'amore sempre
nelle braccia sbagliate.

E' vero che non vogliamo cambiare
il nostro inverno in estate,
è vero che i poeti ci fanno paura
perché i poeti accarezzano troppo le gobbe,
amano l'odore delle armi
e odiano la fine della giornata.

Perché i poeti aprono sempre la loro finestra
anche se noi diciamo che è
una finestra sbagliata.

E Siamo noi a far ricca la terra
noi che sopportiamo
la malattia del sonno e la malaria
noi mandiamo al raccolto cotone, riso e grano,
e noi piantiamo il mais
su tutto l'altopiano.

Noi penetriamo foreste, coltiviamo savane,
le nostre braccia arrivano
ogni giorno più lontane.
Da noi vengono i tesori alla terra carpiti,
con che poi tutti gli altri
restano favoriti.

E siamo noi a far bella la luna
con la nostra vita
coperta di stracci e di sassi di vetro.
Quella vita che gli altri ci respingono indietro
come un insulto,
come un ragno nella stanza.

Riprendiamola in mano, riprendiamola intera,
riprendiamoci la vita,
la terra, la luna e l'abbondanza.
E' vero che non ci capiamo
che non parliamo mai
in due la stessa lingua,
e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero
che abbiamo tanto da fare
e che non facciamo mai niente.

E' vero che spesso la strada sembra un inferno
o una voce in cui non riusciamo a stare insieme,
dove non riconosciamo mai i nostri fratelli.
E' vero che beviamo il sangue dei nostri padri,
che odiamo tutte le nostre donne
e tutti i nostri amici.

Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.
Ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.

ANNA DI FRANCIA

Anna di Francia che arriva,
Anna che ride, Anna che scherza,
Anna che ascolta, che parla
Anna che chiede, vuole sapere
come andremo a finire la sera,
Anna la piazza ti ama, ti ama con me.
Anna racconta: l'ultima Francia
com'era grigia, com'era triste,
Anna racconta: il nuovo lavoro
sempre camicie, solo camicie,
Anna ti sembra di essere pazza
Anna la piazza, la piazza ti ama con me.
Anna che mi porta via
e vuole bere, vuole parlare,
s'infila in un'osteria
forse stasera ha voglia di amore,
Anna più bella, più bella che pazza
Anna la piazza, la piazza ti ama con me.
Anna troviamo tanti amici,
uno comincia la discussione,
sono momenti quasi felici,
Anna mi guarda faccio il buffone
"e dove sarà la cultura operaia?"
Anna che scuote la testa e dice di no.

Anna non vive, è da sola
si è già stancata di prenderci in giro
"e Luigi Nono è un coglione,
l'alternativa nella cultura
non è solo ideologia
l'alternativa è organizzazione"
Anna si arrabbia, basta parlare,
Anna si alza, andiamo via
e mentre la strada mi fa perdonare
c'è anna che brinda alla sua anarchia,
Anna imprendibile più di un momento,
Anna dà un bacio alla piazza e poi se ne va.

Non sarò per te un orologio,
il lampadario che ti toglie il reggiseno,
quando è tardi, è notte e tu sei stanca
e la tua voglia come il tempo manca.
Non sarò per te un esattore
di una lacrima ventuno volte al mese,
non conterò i giorni alle tue lune
per far l'amore senza rimborso spese.
Non sarò per te solo lo specchio
di una faccia che non cambia mai vestito,
non sarò il tuo manico di scopa
travestito da amante o da marito.
Non sarò quel cielo grigio quel mattino,
il dentrificio che fa a pugni con il vino,
non sarò la tua consolazione,
e neanche il padre del tuo prossimo bambino.
Per questa volta almeno sarò la tua libertà,
per questa volta almeno solo la tua libertà,
per questa volta almeno la nostra libertà
e la piazza calda e dolce di questa città.


KEATON
Lo chiamavamo Keaton quel pianista
 Naturalmente perché non sorrideva mai
Mentre noi ci ammazzavamo di risate
A vederlo come un parafulmine, dritto,
Contro un cielo di guai.
Guai di tasca, violoncello, guai d'amore,
Guai da vita distratta e disarmata,
Che ricamavano dentro al suo stupore
Una tela affascinante,
Ma un po' troppo delicata.
E lui si presentò come un jazzista
Appassionato e puro in stile rete tre,
Coi pregiudizi di chi si sente artista,
Perché non faceva soldi, lui,
Con le canzoni, come me.
Ma non mi accompagnava poi malvolentieri,
Eravamo due grandi acrobati della malinconia,
E poi dobbiamo farne di mestieri,
Noi che viviamo, della nostra fantasia.
E parlavamo poi molto in quelle sere,
In qualche bar, dopo il concerto,
Insonni e morti.
Di politica, ciclismo, storie vere,
E di come i Weather Report erano forti,
E di come era importante fra la gente,
Non essere solo musica e parole,
E di come era importante che la gente,
Non fosse una somma di persone sole.
Keaton, Keaton
Che fine hai fatto Keaton,
Sei poi andato in malora Keaton,
Lo sai che ti sto venendo a cercare.
Keaton, Keaton
Perché stanotte Keaton,
Proprio stanotte Keaton,
Avrei bisogno di sentirti suonare.

Si illuminava poi di colpo,
Lungo l'effimero consueto di una sera,
S'illuminava di una gioia grande,
Quando si avvicinava a una tastiera.
E preferiva quelle un poco usate
Quelle in cui tutti mettono le mani,
Quelle ingiallite dal tempo,
Un po' scordate,
Dall'ignoranza, dalla passione degli umani.
E poi una volta abbiamo litigato,
Per una donna prima sua, dopo mia,
Lui coi suoi guai, io con il mio quasi peccato,
Sconfitti entrambi dalla malinconia.
Ci siamo persi quasi senza una parola,
Ma tutti e due con più rabbia che rimpianti,
Come i bambini che si fan dispetti a scuola,
Come due vecchi che si sono amati tanto.
Poi ho provato a rintracciarlo dapertutto
Chiedendo a più di un dirigente supponente,
Telefonando all'arcicaccia all'arcitutto,
Ma di lui sembra non sia rimasto niente,
Se se ne parla è nel ricordo di un momento,
Qualcuno dice che l'ha visto ma lontano,
E tutti con un gran sorriso spento,
Quasi per dire "era un ragazzo troppo strano".
Keaton, Keaton
Che fine hai fatto Keaton,
Se mi vedessi con l'impermeabile,
Sotto la pioggia che ti vengo a cercare,
Keaton, Keaton
Perché mi manca,
Questa notte mi manca,
La tua voglia di suonare.

E finalmente un chissà chi non mi delude,
Forse, però, non sa, probabilmente,
E' in una provincia lontana come una palude,
Dai nostri discorsi di suonare tra la gente.
Una provincia come una sconfitta,
Meno che essere una minoranza dignitosa,
E' una palude è certo troppo fitta
di voli di zanzara per suonarci qualche cosa.
Lo trovo e sembra che non sia più Keaton,
Anche se è contento di vedermi,
Sembrava facile toccarlo con un dito,
Ma il cielo ci ha voluto tutti fermi.
E finalmente ride e ride tanto ed è ingrassato,
E giura troppo che non sta poi male,
Il jazz ormai se l'è dimenticato,
Ci son parole tempi e ritmi
Anche dentro a un ospedale.
E nel lasciarmi all'inizio della sera, dice,
E' come alla fine del cinema muto,
C'è il sonoro non serve una tastiera,
Ci salutiamo nel silenzio più assoluto,
Ed esco fuori con i miei giornali
E non ho voglia di ridere per niente.
Ho un treno che mi aspetta alla stazione,
Mi dà fastidio anche il rumore della gente.
Keaton, Keaton
Che fine hai fatto Keaton,
Sei poi andato in malora Keaton,
Lo sai che ti sto venendo a cercare,
Keaton, Keaton
Perché stanotte Keaton ...
QUANDO LA MORTE AVRÀ
Quando la morte avrà,
 addolcito un po' il tuo viso
che tante volte già
mi aveva intimorito,
e tu mi chiederai un ultimo sorriso,
un gesto di pietà
che avrai non meritato.
Quando la morte avrà
allentato un po' le braccia
che tante volte già
mi avevano piegato
e tu ricercherai
i miei capelli la mia faccia
per farmi la tua prima
ed ultima carezza.

Allora ti amerò
allora quando avrai
la tenerezza che
non hai avuto mai.
Allora ti amerò
ma tu non lo saprai
e per tutti e due sarà
troppo tardi ormai.

Quando la morte avrà
fatto abbassare gli occhi
che tante volte già
mi avevano ferito
col disprezzo di chi
non ha mai chiesto aiuto
e tutto ciò che ha
se lo è costruito.
Quando la morte avrà
disperso i tuoi discorsi
che tante volte già
mi avevano mentito
e la sincerità
del tuo nuovo silenzio
potrà farmi scordare
di averti mai sentito.

Allora ti amerò
allora quando avrai
l'umiltà che
non hai avuto mai.
Allora ti amerò
ma tu non lo saprai
e per tutti e due sarà
troppo tardi ormai.

Quando la morte avrà
scacciato la paura
che per tutta la vita
ti è stata concubina
e avrà fatto di te
il più grande di noi
l'eroe che si rallegra
della guerra vicina.
Quando la morte avrà
sconfitto il compromesso
cui la meschinità
ti aveva condannato
e il lampo dei tuoi occhi
si mostrerà contento
di vivere da uomo
almeno un momento.

Allora ti amerò
allora quando avrai
il coraggio che
non hai avuto mai.
Allora ti amerò
ma tu non lo saprai
e per tutti e due sarà
troppo tardi ormai.
LA MORTE DELLA MOSCA
Oggi è morta una mosca
  dopo avere volato
 tanti anni da sola
 bassa bassa su un prato.
 Un prato non è mai abbastanza grande
 perché una mosca ci si perda,
 ritrova sempre il suo cespuglio,
 il suo dolce odore di merda.
 
 Le mosche procurano noia
 se volano a schiera unita;
 da sole non danno fastidio:
 si schiacciano dentro due dita.
 
 Oggi è morta una mosca
 digrignando gli ultimi denti,
 subendosi l'ultima beffa,
 la morte appartiene ai potenti.
 
 Oggi è morta una mosca
 oh, mio dio che sfacelo!
 ronzare noiosamente
 tanto lontano dal cielo.
 Oggi è morta una mosca,
 crack! l'ultimo colpo di ali.
 Fortuna che noi siamo uomini,
 fortuna che siamo immortali.
 
 Oggi è morta una mosca,
 muriamola nel suo alveare
 insieme a tutte le altre
 onoriamola con un piccolo altare...
 
 Almeno però non si perda
 il senso degli ultimi stenti,
 alle mosche rimane la merda,
 il cielo appartiene ai potenti.
 
 Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza,
 uno lo accarezzò, uno lo abbracciò,
 uno se lo baciò, uno lo consolò,
 uno lo tranquillizzò, uno lo rallegrò,
 uno molto lo amò,
 col mignolino ch'era il più piccino la notte passò.

4 commenti:

  1. come mai ti è venuto in mente Claudio Lolli (e Lo Cascio, che peraltro non credo di conoscere)? ricordo i suoi zingari e poco altro, non ha fatto molto per non passare inosservato, o forse le sue parole hanno più rilevanza in quanto tali che come base di canzoni, chissà quali misteriosi motivi si annidano nelle carriere monche, nelle sparizioni

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    1. La personalità gioca un ruolo, sicuramente.
      Il compito dei critici dovrebbe essere, però, quello di far risaltare ciò che è ingiustamente dimenticato e far dimenticare ciò che è ingiustamente alla ribalta (fra cui alcuni santini - e alcuni lavori di tali santini).

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    2. molti spariscono a ragion veduta, vogliono eclissarsi, non so se sia il caso di Lolli. comunque tu fai giustizia dell'oblio ricordandolo. ho capito

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  2. Claudio Lolli è stato nel cuore degli anni '70 e rimarrà in noi che non seguiamo certi vecchi inspiegabili persone di successo. Neanche Stefano Rosso ha avuto il meritato, ma lui non c'è. Le dinamiche del successo vanno strane, a vendersi tutto. Ma tutto, magari con gente alla Lele Mora.Chissà. Grazie per i testi che ho riguardato con gioia. Danila Selis

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