lunedì 2 dicembre 2013

"Vorrei davvero esser morta, o Saffo ..."

G. Luca Chiovelli

Succede, nella vita. La verità è quella che è, non quella che dovrebbe essere.
La condanna: il libero arbitrio, la facoltà di scegliere. Non la nostra: quella degli altri.
Se le volontà degli altri potessero acconciarsi alle nostre, ecco la felicità.
Ma questo non è dato all'uomo, condannato ai saliscendi della passione, agli andirivieni della fortuna.
D'altra parte se non fossimo eternamente e ineluttabilmente infelici non ci sarebbe bisogno della poesia e della musica.
Non ci sarebbe arte, in effetti.
Se fossimo perfettamente, pienamente, felici, così felici da non avere sentore della nostra propria felicità, non esisterebbero nemmeno la guerra e la disperazione, concime dell'arte.
Niente Balthus, Bach, Boiardo, gotico, espressionismo, fortificazioni, preghiera, simboli, astuzie, storia, psicologia, culto della morte.
Saffo, aristocratica dell’isola di Lesbo, che, forse, Ereso partorì, e Leucade disfece, quasi duemilasettecento anni fa, conobbe come pochi tale destino. Come Guido Cavalcanti, John Donne, Stendhal, Catullo.
L’amore che brucia il ventre, la passione destinata a infrangersi contro il reale, il sentimento inappagato, senza compromessi, smisurato: tutto questo porta al suo canto eolico.
E Saffo conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che la poesia nasce da una predisposizione potente dell’animo capace a filtrare e trasformare ciò che gli altri cuori non possono che rendere in misura volgare.
Ecco, ad esempio, un frammento dedicato alla propria bionda figlioletta, Cleide:

Ho una bella bimba.
Ha simile la piccola figura a fiori d’oro.
L’amor mio: Cléide si chiama.
Se in cambio di lei mi date la Lidia intera,
Io non la do; se tutte le cose amabili mi date
Ebbene, io non la do
… leggiadra bimba …

Ci sono parole più semplici e belle?
Oppure leggete questi tre notturni:

Stella di sera, porti
Quanto l’alba lucente
Sperde: porti la pecora, la capra.
Alla mamma riporti la figlia

È sparita la luna,
Le Pleiadi. Notte
Alta.
L’ora del tempo varca.
Io dormo
Sola.

Le stelle intorno alla bella luna
Di nuovo nascondono il luminoso aspetto,
Quando piena di luce risplende
... su tutta la terra ...  argentea

Quante volte abbiamo letto di albe lucenti e notti e solitudini? Anche di poetastri e poeti della domenica? Eppure queste sono magnifiche, perché promanano da un animo già formato alla poesia, perché da Saffo vengono, dalle scheggiature dei suoi nove libri.
Ecco, invece, due lievi punture di gelosia:

Di nuovo Eros che scioglie le membra mi
Sconvolge, animale
Invincibile, dolce e amaro.
Atti, ti venne a noia curarti di me e voli
Verso Andromeda ...

Di me ti sei scordata, e non a me
vuoi bene: a un altro

Ma l’amore, come insegna Guido Cavalcanti, è una tempesta corporale, squarcia il petto e le viscere (“L’amore vien tagliando con tal forza che lo spirito fugge via e solo l’apparenza rimane, morta, in sua signoria”). Ed ecco Saffo invidiare un uomo (uno qualsiasi, uno di cui non rimarrà memoria alcuna, ma, in tale occasione, pari a un dio!) sol perché gode il privilegio celeste di ascoltare la voce bassa e dolce della persona amata:

Simile a un dio mi sembra quell'uomo
che siede davanti a te, e da vicino
ti ascolta mentre tu dolcemente parli
e amorosamente sorridi. E questo
fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
Se appena ti vedo, subito non posso
più parlare:
la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la pelle mi corre:
nulla vedo con gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo mi pervade: un tremore
tutta mi scuote: sono più verde
dell'erba; e poco lontana mi sento
dall'essere morta.
Ma tutto si può sopportare...

E oltre:

... Scuote Amore il mio cuore
come il vento sul monte
si abbatte sulle querce …

Altrove si ritrova un sentimento più pacato (e con tale forza lo ritroveremo, duemila anni dopo, sotto altre latitudini, in John Donne, ad esempio). Ecco il commiato di una giovane allieva che si strugge per la perdita della maestra di vita; ed ecco Saffo, esperta del dolore e della realtà, che, con delicatezza somma, le vieta il lamento e, allo stesso tempo, perché, commossa, non può fare altrimenti, lo esacerba rievocando nostalgica ciò che è stato e non sarà più:

Vorrei davvero esser morta.
Essa lasciandomi piangendo forte,
mi disse: "Quanto ci e` dato soffrire,
o Saffo: contro ogni mia voglia
io devo abbandonarti".
"Allontanati felice" risposi
"Ma ricorda che fui di te
sempre amorosa.
Ma se tu dimenticherai
(e tu dimentichi) io voglio ricordare
i nostri celesti patimenti:
le molte ghirlande di viole e rose
che a me vicina, sul grembo
intrecciasti col timo;
i vezzi di leggiadre corolle
che mi chiudesti intorno
al delicato collo;
l'olio da re, forte di fiori,
che la tua mano lisciava
sulla lucida pelle;
e i molli letti
dove alle tenere fanciulle ioniche
nasceva l'amore della tua bellezza.
Non un canto di coro,
ne' sacro, ne' inno nuziale
si levava senza le nostre voci;
e non il bosco dove a primavera
il suono..."

Nelle liriche di Saffo, frammentate e tronche come epigrafi museali, si ritrova anche l’orgoglio della poesia e la celebrazione del proprio ruolo:

Io dico che taluno di me avrà
Memoria

La coscienza di un ruolo eminente che si colora di noia e disprezzo per chi, la poesia, non la ama. Alla poesia, infatti, come all’amore, ripugnano le mezze vie. Ecco, perciò, la meritata maledizione verso una cialtrona, molto attuale:

Morte, inerzia di sonno
per te, silenzio di memoria, sempre:
tu non attingi rose
poetiche.
Disprezzata e scura, vagherai nell’Ade,
svolacchierai tra nere larve

Sulla vita dell’amabile Saffo sorsero varie leggende, alcune mirabili e da accogliersi come poesie ulteriori, altre di rara stupidità: queste ultime non ci interessano.
Una di tali leggende la celebra suicida (si gettò in mare dalla rupe Leucade), per amore del barcaiolo Faone. Da questo episodio, che accogliamo con gioia, come detto, trasse versi faticosi Giacomo Leopardi; Ovidio, invece, ch’era un genio, inventò, nelle Eroidi, una bellissima lettera d’amore: in essa Saffo scrive a Faone: dimmi se mi ami, solo questo; se non mi vuoi, se io non suscito in te l’amore, dammi un segno crudele, ch’io almeno lo sappia e possa cercare la morte nelle acque, presso la rupe bianca di Leucade; questa la chiusa:

“ … ma se sei contento di essere fuggito lontano dalla pelasgica Saffo (e tuttavia non potrai trovare il perché io meriti di essere fuggita) una lettera crudele faccia sapere a me sventurata almeno questo, perché io possa andare a cercare il mio destino nelle acque di Leucade”

Una leggenda così bella ha il doppio merito di eternare la protagonista e di creare nuova letteratura.
Saffo fu maestra, moglie, madre; amante; e bambina, ragazza, donna, vecchia. Sembra, infatti, che visse fino a tarda età. Conobbe amore, gelosia, tenerezza, ripulsa, tutto il vasto iride delle passioni e, in più, conobbe l’alito della morte, ovvero lo spegnersi di quei moti spossanti e micidiali, dolci e sfiancanti:

Ermete venne …
Io gli dissi: “Signore
No, per la dea beata,
io non ho gusto di grandezze:
vaghezza mi punge
di morire. Vedere
nella rugiada i fiori
di loto, lungo l’Acheronte”…

E ancora:

[A me] ormai la vecchiaia [inaridisce] la pelle, che era un tempo [delicata],
e i capelli, da neri che erano, sono diventati [bianchi] ...,
il cuore mi si è fatto pesante e non mi reggono le ginocchia,
che erano un giorno leggere nella danza come quelle di cerbiatti.
[Per questo] gemo di continuo. Ma che cosa potrei fare?
Non è possibile, per chi è uomo, scansare la vecchiaia

Ma, da ultimo, qual è il lascito della grande poetessa? Questo: semplice, profondo, inevitabile:

Quale la cosa più bella
sopra la terra bruna? Uno dice “Una torma
di cavalieri!”, uno di fanti, uno di navi.
Io, ciò che s'ama.
Farlo capire a tutti è così semplice!  …
Di lei l'amato incedere, il barbaglio
del viso chiaro vorrei scorgere,
più che i carri dei Lidi e le armi
grevi dei fanti.

Di Saffo, la divina Saffo, scrisse una breve biografia leggendaria anche Giovanni Boccaccio nel suo De mulieribus claris. Saffo, Leopardi, Ovidio, Boccaccio, Donne, Cavalcanti: quando si passeggia fra le nubi si scomodano solo pari. La marmaglia resta a terra. Poniamo il brano come epitaffio; di questo post, ovvio, poiché le parole della poetessa rivivranno sempre come verità incancellabili. Ecco Boccaccio:

“Saffo fu una fanciulla dell’isola di Lesbo, della città di Mitilene: e della sua origine ai posteri non rimane altro. Ma se noi guardiamo allo studio, quello che il tempo ci ha tolto lo vedremo in parte restituito; cioè essere nata di nobili e onesti parenti; perché quello non poté mai essere desiderato da un animo vile, e a quello non poté mai venire alcuno d’animo plebeo. E benché non si sappia in che tempo quella vivesse, nondimeno ebbe sì nobile animo, che essendo in fiorita età e bellezza, non fu contenta solamente sapere congiungere insieme le lettere, ma confortata da più caldo furore d’animo e da più vivacità d’ingegno, montata a più alto studio per lo scosceso Parnaso, montò alla cima, non rifiutandola le Muse; e cercato il bosco dell’alloro, arrivo al tempio d’Apollo; e bagnata nella fonte de’ poeti, prese la cetra, mentre danzavano le sacre Muse. Ed essendo fanciulla, non esito a suonarla e a comporre versi, il che risulto molto faticoso anche a uomini studiosissimi. Perché dire più parole? Ella per lo suo studio arrivò a tale altezza che i suoi versi, tramandati dagli antichi, son famosi persino oggi; per lei fu eretta una statua di metallo consacrata a suo nome, ed ella fu annoverata tra i poeti insigni. E certamente non sono più famose le corone dei re che la sua corona, né le mitre dei sacerdoti, né le lauree de’ trionfanti. E come ella fu felice nei suoi studi, allo stesso modo fu infelice nei suoi amori, perché, presa d'affetto per un giovane, anzi vinta da una passione insanabile, o per la piacevolezza di questi, o per la bellezza o per qualsiasi altra ragione, non volendo egli consentire al suo desiderio, ella si dolse della sua ostinatezza, e ne scrisse lamentevoli versi; i quali io avrei pensato elegie, perché quelle ritengo appropriate a tale materia, se io non avessi letto che ella, quasi dispregiata la forma dei versi antichi, trovò una nuova struttura metrica, da allora chiamata col proprio nome. Ma che diremo noi? Son da biasimare le Muse, le quali, suonando Anfione la sua lira, poterono muovere i sassi delle montagne; e, cantando Saffo, non valsero ad ammorbidir il cuore d'un giovinetto".


2 commenti:

  1. chi è l'autore delle traduzioni? ho nelle orecchie quelle di Quasimodo..belle comunque

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    1. Parte Pontani, parte Alceste con spruzzi di Quasimodo liofilizzato.

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