sabato 12 ottobre 2013

MVL cinema, Vite di raccordo

Il sacro Gra
Regia: Gianfranco Rosi
Documentario vincitore del Leone d'Oro alla 70. Mostra del cinema di Venezia

Patrizia Vincenzoni
Come un anello di Saturno, così in esergo, i settanta chilometri del grande raccordo anulare contengono molteplici realtà umane e cose che, attraverso la capacità di connettere i quadri diversi, costituiscono un unico documentato racconto. È l'umanità che si disvela nelle immagini, il soggetto al centro della trama del Sacro Gra 'vite altrove' che raccontano una quotidianità in un rapporto spazio-tempo scandito dal flusso opaco, continuo e ininterrotto del traffico, somigliante a una figura arcaica mitica, cifra di uno scorrere del tempo immobilizzato in un interminabile, immodificabile istante.
I contesti dove queste esistenze vivono e si muovono sono come gli anelli di Saturno, immancabilmente legati alla città-pianeta, anche se un processo di rimozione collettivo ha espulso questi territori, cosi distanti dalle periferie da non avere più confini riconoscibili come tali, al giorno d'oggi.
Scorrono sullo schermo brevi storie di persone e questi, come migranti obbligati a una stanzialità de-territorializzata, si lasciano cogliere mentre vivono esistenze affastellate in spazi ridottissimi di appartamenti simili a gabbie, uguali l'una all'altra, in uno stato di cronica di cattività. Emblematica in tal senso l'immagine dell'aereo che, vicinissimo, sorvola queste case, filmate in quello che sembra un tropismo innaturale verso una direttrice di volo d'atterraggio, come se fosse una possibile sorgente di luce.
Poesia visiva, il documentario di Rosi: i dialoghi scarni, la vicinanza non intrusiva della macchina da presa, un montaggio sapiente che costruisce, a sua volta, una realtà ambientale cui ci è permesso partecipare. L'ambulanza che sobbalza sulle buche stradali mentre trasporta un ferito. Il pescatore di anguille che, dalla barca, rientrando, osserva le sponde del fiume che il suo sguardo sa rendere altro da ciò che sono, tanto è profondo e stupito. I gesti di una madre anziana verso il figlio ambulanziere resi insicuri dalla probabile malattia – Alzheimer – e tuttavia determinati a ripetere movimenti e cure abituali che del passato hanno mantenuto la gestualità, il rispondere affettivamente a un bisogno e a un proprio ruolo. Le prostitute agées che aspettano i clienti dentro un camper su cui sono evidenti, come sui loro corpi, i segni di un'attesa che rimanda a qualcos'altro. La canzone sussurrata, il ciondolare del capo in un movimento ritmico del corpo di una di loro accennano a quella che sembra una ninnananna cantata a se stessa, consolatoria e struggente, forse anche ironica, se la guardiamo da un'altra angolazione.
Altre e diverse umanità si affacciano attraverso brevi e autentici flash sul filo della narrazione, come il palmologo, presenza che apre e chiude il documentario. Cerca il modo per debellare i guai mortiferi che un coleottero – il punteruolo rosso - arreca alle palme: la similitudine con l'anima dell'uomo proposta da questo e la lettura di quello al quale può alludere il logo del documentario, ci fanno riflettere sulla necessità di riuscire a pensarsi maggiormente nei termini di una 'geografia psicosociale', rappresentazione che potrebbe aiutarci a riappropriarci e a percorrere parti del territorio più vasto e complesso del vivere in comunità.

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