giovedì 1 agosto 2013

Parola di Capitano / 1

Franca Rovigatti


DOVE TUTTO COMINCIA
Quella notte venne giù un caldo eccezionale. Erano solo i primi di giugno, ma l’afa invase Mongo come una silenziosa, micidiale armata di occupazione. Ranghi serrati. La città capitolò, cadde dentro il soffoco di una candida invisibile coperta. Già alle cinque la luce s’era piazzata alta a sfolgorare in cielo. Abbacinava. Stringeva strade e case in un abbraccio irrespirabile.

Così, dopo la notte trascorsa voltolando il corpo tra lenzuola fracide, quella mattina Teo Marlo sorprese il sole stravaccato nello studio. Come un'immensa bocca alitava fuoco. La persiana, porca vacca!, aveva lasciato la persiana aperta! La stanza era una sauna. Miseria se è caldo, pensò. Pure umido, accidenti.
Anche il bollettino meteo lo aveva detto, poco prima, mentre lui, sfatto nella gloria del mattino, pisciava. La vocetta fessa della radio aveva annunciato:"Umidità relativa 95%".
Ecco, pensò, in una giornata come questa uno dovrebbe poter descrivere dal vero l'afa, per esempio, dell'Indonesia, della Thailandia, del Vietnam, della Cocincina...

(Teo Marlo scriveva. Sì, era uno scrittore! Cosa che, nei frequenti momenti di smarrimento, si ripeteva ad alta voce fissandosi allo specchio.)

Peccato! pensò Teo, peccato davvero che ora il Capitano sia nel bel mezzo della sua avventura antartica! Come faccio a trasportarlo di botto a Saigon o a Jakarta? Troppi casini.

(Il Capitano, Giona Missing, era il protagonista fisso dei sei romanzi - cinque già usciti, l'ultimo in stesura - scritti da Teo e pubblicati dal suo editore, quel ciccione di Woodroow von Zeitmerde. Romanzetti, che ve lo dico a fare: romanzacci, roba di terza categoria.)

Ciabattando in cucina a farsi un tiepido caffè istantaneo,
Teo prese la risma di vergatina rosa e il notes degli appunti. Si sedette al tavolo di fòrmica e cominciò a ragionare.
Che fatica, pensò. Magari però a von Zeitmerde questo sviluppo, dai ghiacci del Polo Sud all'afa della giungla, magari gli piace pure... Certo, bisognerebbe trovare un modo elegante per spostare tutta quanta la baracca... Uno sviluppo necessario...


(Romanzacci dei peggio, rozzi tratti, fosche tinte. Di quelli che, se ce la fai a finirli, li butti al cassonetto senza alcun rimpianto. Robaccia, dove per contratto ogni tot pagine deve esserci una trombata coi fiocchi, ogni tot altre una rissa, un inseguimento, piani segreti, cospirazioni, sfondi esotici… L'azione era trascinata qua e là per il mondo sulla base delle foto dei dépliants vacanze della Sensitive Tours, la più sfigata tra le agenzie turistiche della città, Otto Giorni Tutto Compreso. Per capirci: mari smeraldini, palme ricurve, capo nord, steppe, maldive... Luoghi dove Teo Marlo non solo non aveva mai messo il naso, ma non aveva speranza alcuna di mettercelo: mai nella vita. I personaggi erano pallide scie, ombre, generici fantasmi. L’unico ad avere un qualche spessore era Giona Missing, che, dài e dài, avventura dopo avventura, s’era quanto meno fatto la sua praticaccia: fin da quando, arruolatosi giovanissimo nella Marina Elvetica, s’era meritato, su rotte fluviali, galloni su galloni… Ma gli altri! Quando si muovevano, a malapena agitavano l'aria senza produrre suono. Tutti vestivano abiti dozzinali: trench con borchie, cerate gialle, tute mimetiche, simil rayban. La sera sfarfallava boa di struzzo, si inchinava improbabile in smoking, sfolgorava paillettes. Una volta il vestito dell'eroina aveva brillato talmente che il Capitano ci aveva potuto fare i segnali Morse.... Se tutto questo ciarpame di effetti speciali per Marlo andava benissimo -anzi rispondeva alle segrete aspirazioni del suo cuore infantile- su un particolare l’autore non cessava di crucciarsi: fin dal primo libro, infatti, Teo avrebbe voluto far parlare il Capitano in prima persona, come fosse lui stesso a narrarsi. Ma l'editore, vai a capire perché, gliel'aveva proibito, intestandosi sulla terza. Così, al fondo, Teo era inquieto. Cercava di tenere la voce narrante ben alta sulla scena: in modo da poter dominare, insieme ai fatti, anche le menti delle sue creature. E tuttavia si domandava di chi mai potesse legittimamente essere la voce che era costretto a modulare, voce in grado di riferire i più riposti pensieri, le meno confessabili emozioni dei suoi personaggi. Chi la possiede questa benedetta voce - si chiedeva nei rari momenti di onestà Teo Marlo - se non Dio? E come posso io, dio mio, parlare con la voce di Dio?)


Mentre Teo almanaccava (e, per quello, sin dalla sera prima, quando, stracco morto, aveva smesso di scrivere), il Capitano, accucciato dentro il libro, era esposto all'addiaccio antartico fuori la tenda di un certo Joe Crocque-l'-Enfant, contrabbandiere di carne di pinguino. Lo spiava. Il quale Joe (sin dalla sera prima) continuava a trasmettere con la radio da campo informazioni cifrate all'amante Gay EvenMe, magnate di mangimi per animali. Da oltre dieci ore, insomma, Giona rischiava la morte per assideramento. Le ultime righe messe giù da Teo Marlo la sera prima dicevano infatti:
<<La coscienza del Capitano lentamente viene meno. Mentre la sua mente si inebria di celestiali visioni, il vigoroso corpo s'abbandona stremato sui ghiacci eterni. Lui non lo sa, ma la bianca morte arrota i denti, in agguato...>>.

(Giusto, no? Teo Marlo se la ricordava bene, la Piccola Fiammiferaia: che, mentre muore assiderata, ha visioni di pranzi succulenti e caldi focolari... Così succede quando si muore di freddo alle temperature polari! Di Andersen ci si poteva fidare, era del nord: queste cose doveva ben saperle!)

Teo ragionava e prendeva appunti. Prima di qualsiasi altro sviluppo, ora toccava salvare la vita al Capitano. Ok!, su questo non c’era problema, tutto era pronto. Stava infatti per entrare in scena Leyla McMore, bellissima geologa, che, passeggiando sola soletta nella notte antartica per riflettere su alcune sue intuizioni relative alla deriva dei continenti, sarebbe inciampata nel vigoroso corpo. Fulminata dalla sua bellezza, Leyla si sarebbe distesa lunga quant'era sopra l'assiderato. Con turgide labbra gli avrebbe praticato la respirazione bocca a bocca.
Che bella scena! Il meccanismo del salvataggio riempiva Teo di soddisfazione, gli sembrava ricchissimo di valenze simboliche, tipo: il femminile primigenio che, col suo calore, infonde nuova vita... Certo, quella era una scena madre, non era possibile rinunciarvi!
Quanto all’aspetto di Leyla, Teo aveva già deciso. La travolgente sensualità di Faustine -la manicure del barbiere sotto casa che rifiutava sempre i suoi timidi inviti al cinema- combinata alla bellezza un po' remota della cassiera del Bar Scirocco, la biondona che non capiva mai le ordinazioni.

(Marlo, nonostante fosse reduce da due matrimoni clamorosamente falliti, si ostinava a nutrire il Sogno di un Amore Romantico. No, non un granché di sogno, niente di troppo articolato: piuttosto vaghe aspettative fanciullesche con finale generico del tipo "e vissero felici e contenti". Così Teo s’invaghiva di tutte le tipe che incontrava: al supermercato, in cartoleria, alla biblioteca di quartiere, in tavola calda. Ahimé, mai una che ci stesse. No, no e poi no. Ma le tipe ignoravano di lasciarsi dietro indelebili tracce d’inchiostro. In pochi giorni infatti venivano riciclate, andando tutte quante a finire, ci puoi giurare!, tra le braccia del Capitano. Il quale, con svizzera precisione, si fidanzava con la manicure, dattilografa, cassiera di Teo: trasformata ora in spia internazionale, ora in ereditiera, ora in aristocratica decaduta. Anche gli amori del Capitano erano, dunque, effimeri e generici. Ma almeno Giona qualcosa combinava. Anzi, era un vero dongiovanni.)

Naturalmente, rifetteva Teo febbrile, tra Giona e la McMore sarebbe divampata una furibonda passione. Ma come? si arrovellava. In che modo, a che punto la metto in scena? L’ideale, pensava, sarebbe stato che il Capitano, appena rinvenuto, si trombasse Leyla là per là! Dio mio, certo che fuori la tenda di Joe Crocque-l'-Enfant facevano quaranta sotto zero. La cosa rischiava di suonare incredibile...

(Stava sempre attento. Avventure straordinarie, sì, ma fino a un certo punto. Anche von Zeitmerde glielo raccomandava: "Datti una regolata, Teo!" diceva "La gente mica è del tutto cogliona!")

Sospirando Marlo convenne che, sul sesso, sarebbe stato opportuno procrastinare. Anche perché ora, SI’!, c’era questa bellissima idea dell’Indonesia! E bisognava farle posto!
Teo si mise a scrivere come un matto.
Così in sei paginette succede che il Capitano riprende i sensi nella lussuosa tenda di Leyla, che arriva un fax segnalante imponenti movimenti di deriva nell’isola di Giava, che la geologa decide di partire, che Giona, innamorato, abbandona la sua missione e decide di seguirla. Dopo uno scalo in Patagonia per l’inevitabile cambio di guardaroba, i due proseguono con un volo merci verso Jakarta (95% di Umidità Relativa).
Sì! Vai! Così!

Teo era stanco, aveva fame. Guardò l'orologio, erano le tre. Ok, pensò, vado giù. Uscì diretto al Bar Scirocco, dove avrebbe potuto saziare la fame con modica spesa e dare un'occhiatina di controllo, non si sa mai, alla cassiera scema.

Mentre Teo scende le scale convinto di fischiettare (i deboli suoni che gli escono dalle labbra somigliano al silenzio), nella cucina al Capitano sta per capitare un Miracolo. Un Portento che mai per altri si produsse: né per Ulisse, né per Faust, Orlando, Münchausen. Neanche per Alice delle Meraviglie.
Ma quelle sono sante creature gratificate dal loro destino. Sono personaggi che dentro i loro libri ci stanno benone. Perché mai dovrebbero aver voglia di uscire?
Invece il Capitano, poveretto, erano ben cinque anni che veniva sballottato qua e là per il mondo frequentando cartoline dei tropici, dormendo in letti ad acqua con lenzuola di raso nero. Cinque anni erano, mille ottocento ventisei giorni, che spesso veniva lasciato dall'autore (per ore, giorni) in posizioni impossibili: in bilico sull'orlo di uno strapiombo; naufrago nella tempesta in un mare infestato di barracuda; nelle grinfie di un losco sfregiato con le mani grandi come padelle.

PER ESEMPIO

Succedeva così, per esempio. Teo aveva appena scritto: <<Il losco sfregiato colpisce ritmicamente lo stomaco del Capitano>>, e, per esempio, Teo si ricordava di un appuntamento cruciale, così usciva di corsa, abbandonando tutto come stava. Per riprendere il lavoro, per esempio, due giorni dopo. Per tutti quei due giorni: quarantotto ore, duemila ottocento ottanta eterni minuti, il losco sfregiato, obbediente, continuava a colpire ritmicamente lo stomaco del Capitano... 

(1 - continua)

Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.


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