venerdì 9 agosto 2013

Parola di Capitano / 9


Nelle puntate precedenti: si perde e si ritrova il manoscritto in corso dell'ultimo romanzaccio seriale di Teo Marlo, ma quello che lo scrittore non sa, è che il suo eroe, il Capitano Giona Missing, sta riscrivendo il proprio destino.

Franca Rovigatti
EXULTET

Il ritorno a casa fu un trionfo, il Magnificat, l'Exultet. Mongo sembrò a Teo il Paradiso: i rari passanti, cherubini e serafini. Tutto il percorso fu scandito dalla esultante affabulazione di Teo, che ormai ruscellava senza più argini, invadendo i marciapiedi, inondando i lastricati, risalendo scale e clivi.
"Benedett'uomo, Capitano! Fu solo un sogno, o è vero che tu m'hai chiamato?! Sì, sì, è vero! E io ti ho ritrovato, libro mio, mia salvezza, amato scritto, che riscatterai la grama esistenza di Teo Marlo... Ah, su di te, mio Capitano, lo giuro: d'ora in poi vedrai che storie! Spingerò i pensieri fino in fondo... Lo so, l’ho sempre saputo che devono volare, partire dal loro primo fiato e andare liberi dove gli piace, seguendo il proprio istinto... Lo so, finora ho sussurrato solo pensierini stenti, rachitici, asmatici, cachettici... Se non la smetto, mi sa che un giorno o l'altro ci resto secco pure io, di questa ritenzione e stipsi... Devo imparare da te, mio Capitano! Generosità, ci vuole! Cuore, fegato, coraggio, nervi saldi..."
Teo s'ubriacava. Gesticolava, parlava forte, ansimando nelle salite.


Giunto al Basso, salendo i quattro piani, aprendo l'uscio, Teo cantava a gola spiegata parole in libertà sull'aria di "Là ci darem la mano". Entrò in casa facendo giravolte, le mani sudaticce strette alla cartellina come fosse un salvagente. Inciampò sul comodino che da anni stazionava temporaneamente in corridoio, cadde sul linoleum sudicio ridendo, nonostante lo stinco gli guaisse.

Si buttò nello studio. Sedette alla scrivania, accese la vecchia lampada ministeriale e si dispose a leggere.
Sfogliò il primo capitolo (quello scorrendo le cui pagine la sera prima Zeitmerde aveva detto: "Hai rivisto anche questi?").
Non c'era dubbio, era riscritto, con lo stesso piglio ardito di nove e dieci, i capitoli che gli avevano rivelato la sua bravura. Andò avanti, lesse il secondo. Trasecolava, nel vedere come il suo personaggio, Giona, fosse, in quelle pagine, diventato una persona. Si innamorò di Gea. Era colmo di miracolata gratitudine per se stesso. Così, esultante, passò al terzo capitolo.
E quella fu una frenata brusca. Un colpo. Mollò di botto, come se si fosse scottato il cervello. Il confronto rendeva insopportabile lo stile.
Vabbè, calma! Tranquillo Teo, si disse. Vuol dire che qui non ci sono ancora arrivato, a riscrivere. Che c’è di così terribile?
Su dieci, cinque capitoli erano buoni. E cinque da rifare.
Messa così in cifre, nella serale discesa di adrenalina, la situazione gli apparve meno allegra.. Si sentì (vecchia, nota sensazione!) impotente, infelice, incapace. Le vecchie, note sensazioni (e anche, a volerla dir tutta, i postumi della sbornia) lo insonnolivano. Le palpebre si fecero grevi, la testa gli cadde sulle pagine, proprio sull'incipit del terzo capitolo, dove la sua quieta scritturina diceva:
I Twins svettavano su Wall Street con rapace, superba alterigia. Giona, mentre a buon passo ne raggiungeva l'ingresso, promise a se stesso: "Io li conquisterò!"‘.

Teo dorme. E’ entrato nel regno della consolazione. I cuccioli di cane, i gattini gli fanno festa, lo spingono, lo precedono, lo tirano verso il letto in mezzo alla radura. Il sontuoso baldacchino è sormontato da due coroncine d'oro intrecciate. Le tende, di un'allegra stoffa a righe e fiori, serrate fino all'ultimo. Finché Teo non ci viene spinto contro e allora il sipario si spalanca: dentro il letto giace la sua Bella. Melograno, susina, fico, acino d'uva, pesca, goccia d'oro, cachi, la bionda carne nuda sembra traspirare gli umori maturi dei frutti di tutte le stagioni. Come sempre… Ora Teo se lo ricorda: come sempre, grazie a dio! La Bella dorme. Teo le si stende accanto, le prende le mani. Sussurra: "Eccomi, amata, son tornato...". Lei, come tutte le altre volte che s'erano sognati, apre gli occhi e sorride. Dice: "Teo, proprio adesso ti stavo sognando". Lo bacia sospirando, ogni sospiro cancella a Teo il dolore. Se lo prende dentro lentamente, chiedendogli di durare a lungo, di non uscire mai, mai più da lei, perché troppo era stato il tempo in cui l'aveva atteso. I gattini sono saliti sul letto: gli occhi socchiusi, fanno in coro fusa da diesel. I cagnetti scodinzolano nel sonno.

Affascinato, incredulo, Giona sbirciava dentro il sogno, non riusciva a staccare gli occhi. Borbottava tra sé, attento a fare piano:

Allora, è così! Che sorpresa! Teo è il principe, e c'è la Bella Addormentata, qui, che lo aspetta nel bosco...

Poi si riscosse, sentendosi guardone. Beh, pensò, sarà ben ora di rimboccarsi le maniche, s’è perso fin troppo tempo! Sarà ben ora di rimettersi al lavoro!

Riscrisse il terzo capitolo: evitandosi le inutili lividure dei broker, inserendo nel dialogo con il vecchio computer temi quali la speranza, la curiosità, il coraggio di lasciare che le idee imbocchino le strade loro destinate.
Destinate da chi? chiede il computer.
"Da se stesse a se stesse" risponde Missing "Le idee hanno la loro vita, del tutto autonoma da chi le pensa. Sono visioni. Pensare in realtà significa accorgersi che un'idea sta passando: e contemplarla senza stancarsi, fino in fondo. Il problema è che pochi al mondo lo fanno..."‘.

In quel momento, dannazione, squillò il telefono. Teo Marlo, miseria, fu strappato alle amate braccia.
Singhiozzò: "Pronto".
"DOVE CAZZO SEI STATO, FANNULLONE, TUTTO QUESTO TEMPO!!?"
Merda, era Giudecca Troni (sua seconda ex moglie nonché madre delle sue quattro figlie). La voce era tanto acuta che Teo appoggiò la cornetta (come faceva sempre quando c’era lei al telefono) sul tavolo, quanto più lontano lo consentiva il filo. Anche così lo strepito si sparò nell’aria, insopportabile.
"PARLA, IDIOTA! PUZZONE! SONO DUE GIORNI CHE TI CERCO! VAGABONDO! LE BIMBE HANNO BISOGNO DI ABITINI RICAMATI E DI SCARPETTE DI VERNICE!"
A Teo (come sempre quando lei, purtroppo, telefonava) veniva da piangere. Quelle urla gli toglievano la vita. Così, invece di rispondere per le rime, mugolò qualcosa tipo "...avuto molto da fare, Giudecca...".
Ma la voce non concedeva tregua: "COGLIONE! NON CE L'HAI LA LINGUA?! PARLA, IDIOTA!"
Il Capitano, furente, soffiò un po' di rabbia nelle orecchie a Teo Marlo. Che cominciò ad urlare.
Urlò: "VACCA SCEMA, TACI! CICCIONA TROIA! CERVELLO DI PULCE ZECCOSA! NON TI PERMETTERE MAI PIU’! TI AMMAZZO, CAPITO!? TI FACCIO FUORI! BUCO QUEL TUO PANCIONE SCHIFOSO! TIRO FUORI UNO PER UNO TUTTI I TUOI MERDOSI INTESTINI! CHIARO?!”
E sbatté giù la cornetta.
La suoneria riprese subito a strillare, ma Teo staccò la spina del telefono.
E poi, lui che non sorrideva mai, sorrise.
Sorrise. E Giona vide come sarebbe stato solo che, al momento giusto, qualcuno l’avesse amato. Bello, sarebbe stato. Perché, nascendo, il suo cuore era stato dotato della possibilità di essere felice, cosa che non a tutti è concessa. Solo che, almeno un poco, la felicità va coltivata. Allora (tanto e tanto tempo prima) ci sarebbe voluta una madre, per esempio, che qualche volta fosse stata contenta di tenerlo in braccio, che almeno una volta ogni tanto l'avesse trovato bello.
Bello come era ora, che sorrideva.
Libero.
Libero, pensava di se stesso Teo. Posso essere libero da lei, Oscena Voce che mi perseguita, vacca avida e cretina. Non devo proprio nulla a quella troia!
Sospirò di sollievo. Si fece un buon caffé.
Era sceso il buio, un vento leggero entrava dalla finestra. Teo Marlo pensò che sì, ora poteva riprendere a lavorare con animo leggero.
Mise gli occhi sull'inizio del quarto capitolo, e trasecolò. Ancora! Pazzesco! Attaccò a leggere:
La mattina era grigia, ripida. Il vento attraversava le strade di Manhattan con piglio veloce e regale, spazzava gelido i suoi possedimenti. Giona procedeva a spalle curve, rabbrividendo, e chiedendosi da dove mai venisse quell'aria, per essere tanto erta e infuriata, dove volesse andare, per muoversi così in fretta. Vento artico, che s'era congelato nel cielo di Groenlandia, che correva al Messico, attratto dal calore latino... Sciocchezze. Ma l'idea di respirare un'aria viaggiatrice lo mise di buon umore. Così, quando entrò nella sede della Compu Associated Ltd., la testa era leggera, vagamente ilare.’
Altro che: "Io li conquisterò!"! Proprio altra aria!

E' perché le pensa il Capitano, per lui le parole hanno davvero senso: si disse piano Teo, senza rendersi conto di quanto fosse vero quel che si diceva.

(9 - continua)


Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.

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