martedì 20 agosto 2013

Parola di Capitano / 20

 Nelle puntate precedenti: Teo Marlo scopre il ladro che aveva trafugato il manoscritto del suo romanzo e, dentro al manoscritto, anche il suo protagonista, il Capitano Giona Missing.  Ma il libro è stato gettato nell'insondabile abisso dell'Animula.



Franca Rovigatti

UNDERGROUND

Teo si infilò dentro la vettura, come se fosse l'Arca. Come se von Z. non un persecutore fosse, ma proprio il Buon Noè.
Per un poco si trattenne, ma poi sbottò: "L'Animula è impraticabile! Nessuno ci è mai sceso!"
"Questo lo credi tu!" borbottò l'editore: "Questo è quello che dicono gli archeologi, i medievisti, gli urbanisti del cazzo… Gli studiosi di grande spocchia e di nessunissima esperienza... Io da bambino ci scendevo spesso, laggiù. So ancora la strada, credo..."
Ah, pensò Teo, va a finire che von Z. è un angelo. Com'è strana la vita! Senza di lui io sarei finito!

Von Zeitmerde frenò di botto. Non è qui, stava per dire Teo. Davanti a loro, il maestoso cancello del Parco dei Lanzi, antica villa patrizia trasformata in giardino pubblico. Teo vagamente ricordava laghetti con cigni, azalee, boschetti ameni... Non la grotta: no, la grotta su cui insisteva Woodroow non se la ricordava proprio.
"Bah, andiamo! La vedrai ora..." borbottò l'editore: "Cerchiamo piuttosto un varco nella rete di cinta. Se mi ricordo bene, dovrebbe essercene uno qui..."
Fosse quello di cinquant'anni prima, quando von Z. era stato ragazzino (il che deporrebbe assai male per l'Assessorato ai Giardini di Mongo), fosse uno nuovo, il buco c'era, nascosto da frasche e rovi.
"Ecco, ecco!" fece Zeitmerde, indicando un boschetto: "E' lì la grotta! Da lì parte il passaggio!"

(Allora, pensò Teo mentre s'affannava a seguirlo sull'erba piena di guazza nell’incerta luce dell’aurora, allora di passaggio si tratta! Non bisognava, come aveva pensato, calarsi giù nella voragine con le corde...)
Nascosta tra i rami di corbezzolo, pitosforo, ligustro, la grotta stava come a casa sua. Chinando la schiena entrarono.
"Sbrigati Teo!" rantolò l'editore: "Aiutami!"
Smossero e grattarono a mani nude la terra, scansarono vecchie radici secche, e sotto le loro mani apparve la pietra di una botola.
"Sembra che non la usi più nessuno..." mormorò von Z.: "L’abbiamo scoperta noi. Era una tale avventura, scendere! Pensa, avevo dieci anni e ci pareva di andare a morte certa... Dicevamo: andiamo a fare il Graal... Facevamo testamento, lasciavamo le scarpe, i soldatini, la palla. Werner, il più ricco dei compagni, aveva il trenino elettrico, e ogni volta cambiava erede..."
Tirarono con forza. La pietra si smosse.
"C'è una data, von Z.! Ha visto?": Teo soffiò via la terra dal graffito, che diceva  '1578'.
"C'è anche il nome di chi ha costruito il passaggio. Guarda: Niccholaus Zwer. M'ero completamente dimenticato di questa storia. Quando torniamo su, potremmo anche fare delle ricerche... Ma, beninteso, ah ah, non alla Cascàmi..."
Con la torcia elettrica  Zeitmerde illuminò l'interno della botola, da cui partiva una lunghissima scala. Il cunicolo era basso, stretto, bisognava procedere piegati. L'aria era densa, antichi odori la saturavano, i gradini scavati nella roccia si disfacevano sotto i loro passi. La scala scendeva come una lama conficcata giù dritta al cuore della terra.

Giunti in fondo, von Z. si fermò, si accovacciò e disse: "Teo, questo è il livello base del complesso. Devi sapere che l'Animula non è solo un pozzo. E’ ben altro. Una vasta rete di cunicoli sotterranei, diramati per chilometri sotto la città. Come un'immensa tela di ragno immersa nel sottosuolo, così la pensavamo noi. Con al centro, al posto del ragno, la punta della voragine. Da dove siamo, per prima cosa ci tocca attraversare un fiume sotterraneo, poi c'è un labirinto, dopo si arriva in un’area che noi chiamavamo la sala delle stelle. Poco oltre c’è una sorgente d'acqua sulfurea. La voragine è lì.”

Dopo una serie di svolte nel buio, Teo perse ogni orientamento. Poi cominciò a udire il fruscio dell’acqua. Ecco, pensò, von Z. ha detto bene: il fiume! Una vena d’acqua nera, che correva per pochi metri allo scoperto. La passerella che la attraversava, un tronco coperto di muffe e muschi, era stretta e scivolosa.

Il cunicolo si restrinse di nuovo, sbucando in una specie di pianerottolo dal quale si dipartivano cinque strade, delimitate da muretti.
"Il labirinto" annunciò von Zeitmerde: "Vediamo un po' se mi ricordo ancora la formula... Entrata centrale, tre svolte a destra, due a sinistra, due svolte a destra, una a sinistra, dritto per ventisette passi, e poi si ricomincia. Ripetere per sette volte. Ah, ci abbiamo messo un bel po’, a capirlo. Ruth stava fuori, con la lanterna, e teneva il filo, come Arianna, e noi ragazzi, a turno, provavamo. Poi abbiamo scritto la sequenza e l'abbiamo imparata a memoria”
Mentre percorrevano il labirinto, recitarono in coro la formula che li portava fuori.

Ed ecco la sala delle stelle. La luce del mattino (erano ormai le sette) fischiava passando con l’aria attraverso i mille fori di cui era disseminata la volta di basalto. Suonava come un piffero, una cornamusa, vibrava come un organo.
"Mio dio!" mormorò Teo reverente. La volta sembrava uno stellato.
"Andiamo, Teo Marlo! Ti sei incantato?" lo riscosse von Zeitmerde.
"Sì" mormorò. S'era incantato.

Seguendo von Z., entrò nella più vasta grotta mai vista. Sul fondo ribolliva, sputacchiando spruzzi e tiepidi vapori, un'acqua bianchiccia e fetente. Al centro del sotterraneo stava infitta a capa sotto la punta di un immenso cono: il fondo, disse von Z., della voragine Animula. Teo alzò gli occhi. Circa cinquanta metri più in su, la parte alta dell’imbuto svasava fino a congiungersi con la naturale curvatura della volta. Per questo, si rese conto Teo, a guardarla dall’alto sembrava solo un pozzo stretto e profondo, e non si vedeva nulla della grotta e della sorgente sulfurea. Ecco dunque cos’era Animula! Una gigantesca stalattite svuotata al centro! La traslucida parete alabastrina si presentava fessurata, in una trama di rigido merletto.
Tutto ciò, vedete (che a noi, a spiegarlo, c’è voluto un bel po’ di parole), fu invece per Teo percezione di un attimo, mentre avanzava con le mani protese in avanti, mentre le feriva tra gli smerli dell’alabastro, mentre girava intorno, infilando le dita in ogni buco.
Toccò, finalmente!, il Capitano. La carta rosa, l’inchiostro inumidito. Il manoscritto non era stato smembrato, Potto l’aveva -grazie al cielo- gettato dentro tutto intero!
Con mani tremanti e caute lo estrasse da una fessura più larga delle altre.
Fatto.
Giona era tornato in buone mani.

(20 - continua)
 
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.

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