giovedì 15 agosto 2013

Parola di Capitano / 15


Nelle puntate precedenti: Uno scrittore di infima categoria (Teo Marlo), il protagonista dei suoi romanzi (il Capitano Giona Missing), una donna innamorata (l'esangue Sommaire) alle prese con un Orco.

Franca Rovigatti

I SEGRETI DI OROFINO
Orofino era zoppo: la gamba sinistra, arcuata, era assai più corta della destra, e montava uno stivaletto con vertiginosa zeppa. Traballava. Ad ogni passo sembrava sull'orlo di una caduta.
Prima di varcare l'uscio, il dottore si voltò e, fissando Giulietto, disse: "Quanto a te, vergogna della tua specie, Punizione Numero Sei!".
"Oh, Padrone, pietà!" Tremolò quello: "Giuro, Eccellenzia, sarò vigile, non farò entrare più nessuno... Ma la Sei, no! Favorite il vostro servo!".
"Preferisci la Numero Quattro?" Disse soave il primario: "Se vuoi, ti prescrivo la Quattro. Basta dirlo."
"No, Padrone, no." Rispose il servo: "Va bene come avete detto Voi: la Sei. Va bene la Sei".

"Noi invece, mio caro," sibilò l'Orco levando gli occhi su Teo: "ora ce ne andiamo in giro per le classi. Questa è una Scuola, non lo se lo scordi! E vedrà che Scuola!...".
Lo prese sottobraccio, un po’ appoggiandosi, un po' tirando (nella mente di Teo stornellò allarmato il vecchio detto "chi va con lo zoppo...”).
Giunti davanti a una porticina nera, Orofino estrasse dalla tasca una chiave e aprì. Una violenta luce accecava.

E quello era l’inferno. Un lungo corridoio, dietro le sbarre decine di minuscole celle su più livelli, o piani, come i loculi multipiano dei cimiteri cittadini. Non celle, buchi. Dove gemevano le povere anime dei matti.
Gemito corale, quello che aveva sentito prima ancora d’entrare Teo, anime galline. Ma qui era mille volte peggio. Nel nastro di voce sempre uguale a se stessa risuonava un dolore insostenibile. Il suono di ogni sconfitta, di ogni diritto calpestato, di ogni corpo martoriato, di ogni pensiero assassinato. Non ce la faccio, pensò Teo, impazzisco anch’io.
Da quel suono saliva un puzzo, che giungeva a folate, denso, quasi solido. Odore putrido, sfatto, in cui al sentore della morte si mescolava il lezzo di cibo rancido, il ristagno d'orina e delle feci.
Teo non sapeva se turarsi il naso o tapparsi le orecchie, annaspava con le inutili mani nell’aria densa e abbacinante.
"Ah ah ah," ghignò Barbablù: "la sua anima bella è un poco scossa?... Questa, amico mio, è la Classe Deliri. I più bastardi, testardi tra i miei pazienti. I più, ah ah, impazienti! Quelli che non rinunciano alle loro fantasie... Qui, caro Marlo, o imparano a comportarsi come si deve: a obbedire, a essere gentili, ordinati, per bene, o ci lasciano le penne, garantito!... E gli tocca una buona razione giornaliera di scudiscio, me ne occupo io personalmente. Così controllo anche se migliorano... Ah ah ah...".
Il dottore procedeva lungo il corridoio.
"Questo qua," disse indicando con una pertica una larvuzza d'uomo (che trasalì, incassò ancora di più la testa tra le scheletriche spalle, socchiuse gli occhi: era solo più ossa e pelle, tremito, bocca bavosa e lacrime): "questo è uno schizo-paranoide. Ululava i suoi deliri per le vie e le piazze. Farneticava di fine del mondo, contatti estatici con popoli di altre galassie, diceva d'essere illuminato dalla luce di dio... Prometteva le fiamme dell'inferno ai bravi commercianti e albergatori della sua città. 'Peccatori dannati', li chiamava... Ora vede, Marlo, come è calmo? Niente più deliri. Sta nella sua bella celletta, buono buono, da più di tre anni. Se non muore prima, ho intenzione di mandarlo a catturare le mosche e pulire i cessi, con i catatonici."
"Dove li tiene i catatonici? Qui?” chiese Teo con un filo di voce.
"No, caro, i catatonici hanno altri problemi… Sono accidiosi, quelli, fannulloni. Se ne starebbero a pancia all’aria tutto il giorno! Ci andremo poi... Ma ora non si perda questa donna, la ventiquattro. Tutta la vita casa e chiesa, una zitella timorata. Poi, una notte ha perso, come direbbe lei, i venerdì. Si è messa nuda sul Corso. Esibiva le mammelle cadenti, il pelo grigio della vulva, si dimenava eccitata. Ululava oscenità. Una vergogna. La vede, ora? Tiene ben chiusa la divisa. Da anni non dice una parola... Si può ben dire che sia guarita."
La vecchia stava immobile, stretta alle sbarre come se quel ferro fosse corpo del suo morto corpo: pieno di lividure e tagli.
"E questi sono gli irriducibili. Con loro, non ci sono punizioni che tengano. Delirio duro, non si arrendono..."
Nelle celle corpi ebeti urtavano alle pareti, alle inferriate. Mossi da puro dolore, senza alcun calcolo, sbatacchiavano qua e là. Si ferivano, crollavano giù, rialzavano.
"Vogliamo," disse Teo, radunando le forze (prima che la voce, l’anima, gli venisse meno) "vogliamo ora, dottore, visitare le altre classi? Qui ho visto tutto. E sono davvero colpito, mi creda, dai mirabolanti risultati..."
"Si è stancata, l'anima bella? Non regge più? Troppo sensibile!": Orofino ridacchiava. "Va bene, fifone, andiamo al Padiglione dei Paranoici. Ne vedrà delle belle, caro mio! Per loro ho escogitato una terapia davvero innovativa, che dà risultati straordinari!"

Mentre L'Orco richiudeva a chiave la porta dell’inferno, mentre entravano in ascensore e scendevano nei sotterranei, tra sé e sé Teo si malediceva. Chi caspita me l'ha fatto fare di entrare in questa trappola? Ma cosa pensavo di ottenere? Notizie? E a che pro? Ammesso poi che Serafino, qui, mi lasci uscire... Figuriamoci, dopo che mi ha svelato i suoi segreti! Questo pazzo mi interna, garantito... Ah, mio dio, proprio adesso che stavo imparando a vivere, ora che potevo finalmente scrivere dei capolavori con il mio Capitano… Ci fosse almeno lui, qui con me...

Mi hai chiamato, Padrone amatissimo?

Benedetto! (pensò Teo rivolgendosi alla sua creatura) Amico mio! Sei qui! Ma... e Sommaire? L'hai lasciata sola? Non dovevi farle compagnia?

No, io sono anche qui con lei! Sommaire adesso, stesa qui sul muretto, sta sognando di viaggiare con me su una goletta lungo le coste della Turchia...
Teo, hai capito?! Ubiquità!! Un attimo fa ero soltanto con lei, poi ti ho sentito che pensavi: “Ci fosse almeno lui, qui con me...", e ZAC!, in men che non si dica, chiamato dal tuo desiderio, mi sono trovato anche qui, nell'ascensore. Sono insieme di qua e di là... Ubiquo!
Ma perché mi hai chiamato, Teo? C'è qualche problema con questo zoppo?

Questo zoppo (gli rispose la mente di Teo) è il diavolo in persona. Pratica l'assassinio, la tortura... Questo luogo è l'inferno. Temo che non voglia farmi più uscire... Capitano, devi aiutarmi, dobbiamo trovare il modo di fuggire...

"Che mugina e rimugina lo scrittore?" chiese l’Orco.
"Niente, ah, niente, dottore. Stavo pensando ai miei capitoli. A come sistemare le scene, i personaggi..."
"Non si preoccupi! Vedrà che ne avrà, di tempo, ah ah ah… Ne avrà fin troppo..."

Lui mi sente, Teo. Certo non sente la mia voce, per fortuna, ma credo che percepisca la mia presenza. Lo disturbo. E' un tipo pericoloso...

"Allora, signor Marlo, sto parlando con lei, mi ascolta? L’ascensore è al piano! Mi vuole dare il braccio, vogliamo andare? Questo è il Padiglione dei Paranoici: prego!"
Il padiglione era una grande stanza circolare, il pavimento inclinato in discesa verso il centro. Lungo i bordi stavano, una accanto all’altra, forse cento cabine di vetro. Dentro ognuna, ben visibile da qualsiasi parte si guardasse, un paziente. I paranoici parlavano tutti insieme, si sbracciavano. Si udiva un coro afono e irabondo, un bisbigliare furioso, impotente.
"Vede che pensata geniale?! Lo sa, vero, che i paranoici si sentono sempre osservati? Ebbene, io li ficco in strutture trasparenti, in cui sono comunque ben visibili! Rendo reale la paranoia! Insomma, Marlo, qui, da noi, la realtà collima. I paranoici non hanno deliri. Qui è tutto vero, tutto quanto verissimo!"
"E questa" sbottò Teo: "lei me la chiama guarigione?"
"Ma chi le ha detto, sciocco," la voce del dottore suonò indicibilmente malvagia: "chi glielo ha detto che io perseguo la guarigione? Questo è terreno di sperimentazione, piuttosto. Di ricerca scientifica. Qui ci interessa verificare cosa accade se i deliri vengono accolti e confermati. Ci rifletta un po': cosa fa uno psichiatra comune, un bravo medico animato da buoni sentimenti, se un malato gli confida che tutti ce l’hanno con lui? Il dottore si sforza, fa appello a buonsenso e ragione per convincere il paziente che sono solo fantasie. Che, anzi, la gente gli vuole tanto bene (il che, tra parentesi, è falso: nessuno ama i paranoici, i loro meccanismi psichici sono davvero troppo faticosi. Anzi, un paranoico è sfuggito come la peste, e lui lo sa bene!). Se il paziente, come quasi sempre accade, non si fa convincere (e magari pensa che anche il dottore faccia parte dell'universale complotto), lo psichiatra gli propina dei calmanti: che annacquano i deliri, ma tolgono ogni sapore alla vita... Bene, noi qui facciamo esattamente il contrario. Non solo confermo al malato che le sue fantasie persecutorie sono sacrosante, ma gliene suggerisco di nuove. Gliele confeziono e propino, come un farmaco. Che so, gli dico che il paranoico della cabina vicino lo guarda male, che quello di fronte lo detesta, lo prende in giro, lo vuole uccidere. Tocco geniale è farli vivere tutti insieme in questo che talvolta chiamo il Circolo Vizioso. Dove ognuno è chiamato ad essere giudice e reo, in cui tutti controllano tutti. Durante il giorno se ne stanno chiusi a chiave nei loro alloggetti di vetro, e solo di notte, quando hanno accumulato ogni possibile sospetto, quando sono carichi come polveriere, faccio spalancare le porte. Allora, mi creda, è davvero un bello spettacolo! La furia straripa, la paura, la rabbia esplodono. Si massacrano. Abbiamo avuto anche sessantuno morti, tre mesi fa! Così liberiamo i parenti (che piangono, ma in realtà sono assai sollevati) e alleggeriamo il sociale di vite che, tutto sommato, altro non sono che un ingombro. Inoltre, i malati vivono la degenza qui da noi come una liberazione del loro immaginario. Come fosco tempo di gloria e di vendetta..."
"E ai parenti glielo dice" boccheggiò Teo: "che li lascia dilaniarsi come galli da combattimento? Sono assai sollevati anche di questo?"
"Ma no, sciocco. I paranoici muoiono per arresto cardiaco... La verità... Tutti al mondo si muore perché il cuore smette di battere, no? Arresto cardiaco... Questa è la versione ufficiale. Di volta in volta la condiamo con un po’ di insufficienza coronarica, un aneurisma, un cancro galoppante... Perché e come il cuore abbia smesso di battere, ai parenti mica glielo diciamo. L'esperimento è segretissimo, mio caro!"

(15 - continua) 

Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.

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