sabato 10 agosto 2013

Parola di Capitano / 10


Nelle puntate precedenti: Teo Marlo, scrittore di infima categoria, dorme, e non sa che il Capitano Giona Missing, protagonista dei suoi romanzi dozzinali, gli sta cambiando le carte in tavola.


Franca Rovigatti
 LA CONFERENZA

Fu allora che trillò il citofono.
Era una voce mite che Teo non riconobbe: "Ehm... Il signor Marlo in persona?" chiese imbarazzata.
Pregata di declinare le generalità, la vocetta sembrò rassicurarsi (come se il suo possessore pensasse: ok, questo lo so), e recitò d'un fiato: "Si ricorda, signor Marlo, sono Leo Personne, ci siamo conosciuti alla sede della Oral Edizioni... Ehm, ero venuto a prenderla per la conferenza del famoso Olo Spino, si ricorda? Se l'era segnato... E' stasera, all'Associazione Letteratura Viva. Anzi, ehm, saremmo anche un po' in ritardo..."

Tutto vero. Due settimane prima, mentre usciva dall'ennesimo colloquio con von Z., Teo, che procedeva a testa bassa pensando alle sue magagne, s'era scontrato frontalmente con un tizio dall'aria ancora più depressa di lui. Un disastro! Erano caduti a terra i rispettivi manoscritti, disseminando l'atrio di fogli gialli e rosa. Mentre ognuno recuperava i propri, si presentarono, scambiando poche frasi, da cui risultò chiaro che ambedue erano vittime del medesimo carnefice.
Leo, in realtà un poeta, veniva utilizzato da von Z. come estensore di biografie di grandi uomini. Aveva già scritto la vita di Napoleone, Cesare, Attila, Hitler e Carlo Magno. Ora, dio mio, Zeitmerde s'era incaponito su Tutankamen. A niente era valso dirgli che le fonti erano frammentarie e incerte, che non era possibile ricostruire la vita di un faraone della diciottesima dinastia... Non c'era stato verso. Così ora Leo stava inventandosi qualcosa di plausibile e non troppo ridicolo.
Mentre si separavano, il biografo aveva proposto: "Non mi accompagnerebbe, signor Marlo, alla conferenza del famoso Olo Spino? Potrei rimediare gli inviti...".
Teo aveva accettato con entusiasmo. Lui, che non andava mai da nessuna parte, che nessuno invitava mai, figurarsi!, avere la possibilità di vedere da vicino Spino, il romanziere più acclamato del paese!

Nei giorni successivi, più volte aveva pregustato la serata, perdendo intere mezz'ore a fantasticare di ipotetici colloqui tra lui e il Famoso, di cordiali pacche sulle spalle ("Diamoci del tu, caro Teo, e vediamoci presto!"), eccetra.
Gli eccezionali eventi delle ultime ore, tuttavia, avevano cancellato ogni altro pensiero: così quella sera Leo Personne giungeva quasi puntuale ma del tutto inaspettato.

"Ah, Signor Personne, certo che mi ricordo! Sono pronto!" mentì Teo: "Mi può aspettare solo due minuti?... Scendo subito!”
Pattinò in bagno, si sciacquò il muso, lavò i denti, indossò un pantalone e una maglia nera, chiuse a chiave il manoscritto nel cassetto (ma una pagina, che il vento di Manhattan aveva fatto volare, se la ficcò frettolosamente in tasca: il che bastò a Giona per seguirlo).
Leo Personne aspettava fuori il portone, appoggiato ad un vecchissimo scooter. Teo ansimò: "Andiamo?".

L'Associazione Letteratura Viva era stata fondata trent'anni prima da un ricco signore che aveva passato la sua vita a leggere (era un uomo  grassissimo, obeso, gli costruivano le poltrone su misura, e collezionò una biblioteca di 16.873 volumi). Scopo statutario dell’associazione era: promuovere la rinascita delle belle lettere a Mongo. Il fondatore aveva dotato l'associazione di una sede (il Villino Katia, costruzione inizio Novecento di stile gotico-moresco), e di una rendita che permettesse una ragionevole attività.
Alla morte del mecenate, dell'Associazione si era impossessata Marja Kurwa, una sedicente poetessa che millantava relazioni in ambienti governativi, lassù alla capitale. Le sue solenni liriche trattavano inevitabilmente di lacrime di bimbi, di tramonti vermigli, di fiori, gatti e amori infelici.

Quella sera il villino splendeva di luci, festeggiando un momento di gloria "a livello nazionale"  (come, volitando da un gruppetto all'altro, Marja Kurwa, velata in chiffon azzurro cielo, badava a sottolineare: in modo che tutti, tutti, avessero ben chiaro a quale grande evento stavano assistendo!).
Era infatti a Mongo Olo Spino, il grande romanziere cui si devono titoli quali L'Ubbriacatura di Re Citrullo, I Diciannove Miracoli di Abele, L'Onda del Lago Salso, Il Pesce che parlava poco il Sabbato,  L'Unghia Nera di Banco. L'ultimo uscito, I Gufi Neri e i Nani, era una cupissima storia gotica, una disperata riflessione sull'incombere della morte. Spino, difatti, non attraversava un buon momento. Gli sembrava ingiusto di dover morire presto: ma come, già era passato il tempo? Non che fosse tanto vecchio, ma portava male i suoi anni, gli pesavano addosso come un dolore. Non foss'altro, per quegli odiosi calcoli al rene che quando, ulceranti uncini, uscivano dal corpo si presentavano nell'inquietante forma di lettere dell'alfabeto. Fin'allora aveva pisciato, nell'ordine: una E, una M, una R e una D. Il sospetto che il prossimo calcolo sarebbe stato una A, in modo da completare correttamente la più nobile tra le parole sfinteriche, non lo faceva dormire la notte.
Così, in quell'afoso inizio d'estate, il famoso Spino se n'era sceso a Mongo, nella cui facoltà di medicina insegnava il più bravo urologo della nazione. Così era stato acchiappato dalle manine di Marja Kurwa: che aveva per lui (ma soprattutto per sé) concertato la Serata di Gloria.

Leo, Teo e l’ombra del Capitano entrarono nel Villino Katia. Teo non conosceva nessuno, ma Leo circolava tra i gruppetti come fosse di casa.
E fu subito agguantato dalla cielovestita chiffon, che gorgheggiò rapita (parlando, com'era sua abitudine, con grande dispendio di maiuscole): "Bravo, Leo! Sei Venuto! Che Gran Serata! E Chi è il Tuo Giovane Amico?"
(Giovane Amico, poi!, pensò Teo. Che donna sgradevole...)
"Signora, sono Teo Marlo" disse coraggiosamente.
"Aaah... Così Esistenzialista Questa Sua Maglia Nera... Carino... Bene, Miei Cari, Ci Vediamo Poi.."
Si allontanò svolazzando, perché aveva visto entrare un critico.
Leo presentò Marlo a diversi poeti. Quasi nessuno aveva ancora pubblicato, ma si vedevano ogni mercoledì per leggersi l'un l'altro le proprie cose. Simpatici, pensò Teo. Bisogna che ci vada anch'io qualche volta. Ah, pensò, infine la mia vita sociale si allarga nella giusta direzione...

Finalmente, i gruppi si zittirono, gli sguardi fissi all'ingresso. L'intera sala acquisì l'immobilità dei grandi eventi. Solo la volitante si produceva in sgangherate mosse a metà tra l'inchino e il deliquio nell'accogliere sulla soglia il grande Olo, che saliva con visibile affanno i tre gradini.
Olo Spino era un orso. Camminava col passo goffo di chi usa le gambe solo per rannicchiarle sotto lo scrittoio, al più per stenderle su di un poggiapiedi. Ronfava, grugniva distintamente, mentre spediva una coscia avanti all'altra. Sembrava corrucciato, mentre biascicava un distante "buonasera signora" agli sdilinquimenti commossi della Kurwa.
Curva la vasta schiena, senza guardarsi attorno, raggiunse il tavolo della conferenza, mentre i presenti applaudivano raggianti.
Prese posto tra il signor Perel, il vicesindaco, giovanotto calvo, giallo e frusto, e il professore di Letteratura Moderna e Contemporanea dell'Università cittadina (tale Mel Yog, uomo sempre sospeso, come la stessa sostanza tronca del nome connota, sull'orlo di grandi sintesi filologiche, sul bordo di matrimoni o separazioni, sul filo di una presa di coscienza definitiva...). Nell'ultima sedia di sinistra si accomodò l'abito di chiffon cielo, gualcendosi e agitandosi.
Toccava a lei presentare la serata, alla Kurwa, che non riuscì ad esimersi dal leggere un suo poema dedicato al Maestro. Ve lo risparmio. La lettura  durò infatti, nella costernazione generale, ventitre minuti, che non sono pochi.

Teo, che s’era appoggiato alla parete di fondo, vicino all'amico Personne, era esterrefatto. Durante l'eterna lettura, aveva guardato ogni tanto di sbieco il suo compagno per capire come doveva regolarsi (in quel fiume di endecasillabi si sperdeva, gli pareva robaccia, ma non si sa mai...). Aveva visto la faccia di Leo incupirsi, infuriarsi.
"Ma, insomma, basta!" sentiva sussurrare intorno dagli aspiranti poeti, dalle eleganti signore cui non era stato presentato.
"Mi vergogno per lei..."
"E' imbarazzante..."
"Guarda: il grande Olo dorme..."
In effetti, al tavolo (mentre Yog si teneva la testa tra le mani e il vicesindaco non osava neppure alzare gli occhi), Olo Spino ronfava, reclinata di sbieco la possanza.
Guardandosi attorno, Teo intercettò lo sguardo di una donna bionda seduta su di una sedia d'angolo. Occhi verdi, non ambra. Eppure... tutto gli ricordava il suo bel frutto notturno, la Bella Addormentata nel bosco dei suoi sogni. Si sentì imbarazzato: quella lì non era onirica, era una signora vera...
Ah, la voleva conoscere! Ora, subito, questa sera stessa!
Dalla tasca protendendosi, anche Giona l’aveva riconosciuta..

Al tavolo di proscenio, intanto, la giuliva Kurwa dava la parola al signor Perel, che, a testa bassa, con voce stridula, utilizzando il minimo indispensabile di fonemi, diede il benvenuto ufficiale della città al grande scrittore.
Toccava poi al professor Yog, che si era preparato una disquisizione sull'ultimo romanzo dell'ospite andando a scomodare Chomsky, Foucault, Walter Benjamin e il saggio sull'afasia di Jakobson, istituendo una non sorprendente serie di accostamenti analogici con la Melancholia düreriana. Ma siccome il grande Olo continuava a dormire e il pubblico seguiva solo il suo russare ursino, il professor Yog vinse l’indecisione, rinunciò a leggere il contributo, e si diede da fare con Spino. Gli scosse le spalle, gli schiaffeggiò le mani, gli sibilò segreti nell'orecchio.
"La miseria, porca Eva!" rantolò il grande tornando alla coscienza: "Che fottutissimo caldo!". E si svegliò.
Sbirciò cisposo, gli occhi socchiusi alle luminarie, il materiale umano che si trovava di fronte: i volti scimuniti, gli occhi basiti, i visi appesi, tutti stupidi del medesimo stupor. Tutti, in quell'attimo perfetto, identicamente idioti.
"Ah! Sì, bene bene bene. La conferenza nell’inclita città di Mongo..." tuonò schiarendosi la voce: "Potremmo tenere, eh, professore?, un'utile lezioncina sulla necessità del sonno: dei sogni, dico, per lo scrittore affermato..."
Lo sbigottito silenzio non si allentò di un filo.
Nel vuoto dal fondo della sala giunse il suono di una risata divertita.
(Teo guardò, ma già lo sapeva: era la sua Signora! La voce aveva lo stesso timbro dello  sguardo.)
"Infine!" gorgogliò l'Olo Magno: "Infine! Allora, in questo nobile consesso, almeno una persona sveglia c'è! Una bella signora, vedo... Era una battuta, cari miei, potete rilassarvi, solo una battutina!".
Bastò questo, e l'ilarità si diffuse per la sala. Marja Kurwa scompisciossi sul tavolo, il vicesindaco sorrise pallido. Persino il vescovo, in prima fila, tirò fuori una cupa risata da basso.
"Ok, cari signori e gentili signore! Può bastare!" comandò Spino, che stava assumendo l'aria del domatore: "Avete dato sufficiente prova delle vostre facoltà! Esimio Professore, mi può fare un riassuntino del suo contributo? Come avrà visto, ah ah, ero impegnato altrove..."
Obbediente, Mel Yog tirò fuori i fogli, e si affannò a fare un'infelice sintesi di quanto non aveva detto.
Ma dopo tre frasi Spino era già crollato nel sogno della propria assenza. E il pubblico, sempre servo, solo il ritmo dei suoi ronfi seguiva, ignorando le acrobazie comparative del professor Yog.

Teo, stufo della manfrina, cercò l'incontro con Quegli Occhi. Ma la sedia nell'angolo era vuota.
Oddio, se n'è andata!
D'improvviso, si sentì svuotato, gli parve che il fiato gli si fosse fermato in gola e lo soffocasse.
Senza salutare Leo, strisciò verso la porta, mentre Giona spingeva.

(10 - continua)


Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.

Nessun commento:

Posta un commento