lunedì 26 agosto 2013

La "scrittura asemantica" (asemic writing)

appelMarco Giovenale
Da non poco tempo, da quasi due decenni ad esser precisi, una linea di confine fra testualità e arte contemporanea è più distintamente visibile, percorsa e fatta propria da molti artisti e da autori di testi sperimentali. Si tratta della scrittura asemantica, o prima ancora, in inglese, asemic writing (inganna il dizionario che assegna ad “asemic” tutt’altro significato).

Di che si tratta? Sono glifi, grafie e calligrafie, alfabeti, materiali visivamente riconducibili all’area formale della scrittura, che però non fanno riferimento ad alcunché di noto o decifrabile, ad alcuna vera lingua, a nulla che trasmetta significato (senza tuttavia, per questo, esimersi dal trasmettere senso). Le radici di questa pratica arretrano al secolo passato. Specie con Alphabet e Narration (1927) Henri Michaux avviava una sua esplorazione – poi ininterrotta – del territorio. Nel 1947 e a varie riprese successivamente, con le Scritture illeggibili di popoli sconosciuti, Bruno Munari aveva giocato con alfabeti enigmatici o alieni (pagine riassuntive e felici si leggono e osservano in Codice ovvio, fra l’altro). Nei decenni successivi Christian Dotremont, Brion Gysin, León Ferrari, Mira Schendel, Mirtha Dermisache e moltissimi altri artisti avrebbero ancor più sistematicamente battuto gli stessi sentieri.
Negli anni Settanta Irma Blank copre intere superfici e fogli con scritture inesistenti, sottili tracciati che mimano una grafia minutamente nervosa, senza intenzionetransitiva: nel 1974 Gillo Dorfles le dedica un testo (che si può ora leggere in http://gammm.org/index.php/2007/07/18/blank-dorfles) in cui di fatto conia l’espressione “scrittura asemantica”: «una sorta di grafia-ortografia, che si vale d’un segno ben individualizzato (con tutte le caratteristiche della personalità di chi lo usa), ma privo, vuoto, scevro, da ogni semanticità esplicita, giacché non è costituito da – né è scindibile in – “segni discreti”, in lettere d’un sia pur modificato alfabeto, né in ideogrammi sia pur alterati o neoformati. [...Si tratta quasi di] tracciati [...] sovrapponibili ai segni d’una qualsivoglia composizione grafica, astratta, salvo a conservare, in un certo senso, l’aspetto esterno, la morfologia estrinseca, d’una effettiva scrittura manuale». Del 1981 è uno dei capolavori di asemic writing: l’“enciclopedico” Codex Seraphinianus di Luigi Serafini.
Si potrebbe certo arretrare alle origini della scrittura verbovisiva. E interrogarsi poi sulla fascinazione che l’indecifrabile ha sempre suscitato nei frequentatori delle zone di confine fra araldica e antichi alfabeti (citiamo appena l’eco ipnotica – ben storicizzata – del geroglifico), o fra arte e tracce aleatorie, naturali, materiche, come ad esempio accade nei flussi di corpuscoli di Dubuffet o Fautrier. L’arte contemporanea per altro è stata ricca di passaggi del segno astratto verso rassomiglianze, sembianze calligrafiche: diversissimi gli artisti nominabili: Mark Tobey, Pierre Alechinsky, Asger Jorn, André Masson, Louise Bourgeois; forse già lo stesso Mirò, certo Klee. Dagli anni Settanta, per stare all’Italia, soprattutto Vincenzo Accame, in parte Adriano Spatola, e per certi aspetti (dato l’intreccio di frecce grafie graffi complessi spesso inestricabili, in loro opere) Emilio Villa e Magdalo Mussio hanno dato contributi nuovi e determinanti in questo senso, vicini all’asemic writing o precisamente dentro i suoi confini.
jacobson
È tuttavia, come si diceva, forse solo dalla seconda metà degli anni Novanta che tale costellazione di esperimenti più o meno slegati è stata percepita sotto forma di corrente, movimento, flusso unitario o uniformabile non da una teoria ma da semplice constatazione di esistenza, di massiccia estesa compresenza: è infatti da quegli anni che un autore australiano, Tim Gaze (http://asemic.net), ha iniziato non solo a proporre e promuovere l’espressione “asemic writing” come unificante e definitoria (sulla scorta di un dialogo tra Jim Leftwich e John Byrum), e a lavorare in questo senso lui stesso con opere e disegni numerosissimi, ma ad attivarsi altresì per promuovere questa linea di ricerca – che vedeva praticata da centinaia di artisti e autori in tutto il mondo –  attraverso mostre, iniziative, siti, edizioni, riviste, fascicoli su carta e online (tra cui «Asemic magazine» e «asemic movement»), che nel primo decennio del nuovo secolo si sono moltiplicati ulteriormente grazie all’apporto di una vera e propria collettività di artisti (e) curatori, in rete e fuori, tra cui (non citando nomi italiani) Pete Spence, Rosaire Appel, Orchid Tierney, Michael Jacobson, Cecil Touchon, Marc Van Elburg, John M. Bennett, Billy Mavreas, Miron Tee, Jakub Niedziela, Dirk Vekemans, Bruno Neiva, Yu Nan, Lin Tarczynski, Geof Huth, Satu Kaikkonen, Karri Kokko, Jukka-Pekka Kervinen, Ekaterina Samigulina, John Martone, Drew Kunz.

[ testo già comparso in «l'immaginazione», n. 274, mar.-apr. 2013, p. 41, poi in http://puntocritico.eu/?p=5615e scaricabile in pdf a questo  indirizzo:  http://www.academia.edu/4214007/Scrittura_asemantica_asemic_writing_2013_]
      

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