venerdì 7 giugno 2013

CocaCocaCoca, Osorno e Saviano a confronto

Una pianta di coca
- Roberto Saviano, ZeroZeroZero, Feltrinelli, pp. 446, euro 18
- Diego Enrique Osorno, Z- La guerra dei narcos, La Nuova Frontiera, pp. 377, euro 15

M. T. C.
È possibile parlare di un libro di Roberto Saviano dimenticando l'icona Saviano, così come nei sette anni dal successo di Gomorra e dalle conseguenti minacce mafiose l'hanno sedimentata le circostanze, i media e lui stesso? Quali sono gli spazi entro cui si muove un giornalista-narratore quando parla di violenze efferate, feroci ingiustizie, orrori quotidiani? Su queste domande ci si interroga intorno al grande tavolo di Plautilla, ascoltando i due libri raccontati da Daniela Lasorsa (Roberto Saviano, ZeroZeroZero) e da Simona Baldelli (Diego Enrique Osorno, Z- La guerra dei narcos). 
Le risposte arrivano, frammentate e discordi. La simpatia umana per il giovane autore costretto a vivere sotto scorta da un lato, la diffidenza per il suo ruolo di profeta televisivo dall'altro, costituiscono una barriera difficilmente aggirabile nella valutazione di un testo ossessivo (la parola ritorna più volte) e costruito quasi per accumulo (“i capitoli sono numerati ma portano tutti lo stesso titolo, 'Coca', e non hanno una scansione tematica o geografica, un fatto che rende difficile riproporne la struttura”).
Curiosamente si scopre che fra i presenti solo un paio avevano letto Gomorra per intero, gli altri lo avevano evitato (“per la sua eccessiva notorietà”) o ne avevano interrotto la lettura, perché “pagine indubbiamente efficaci erano sommerse da un frastuono di effetti facili”.
Quanto al trentatreenne Osorno, parla di cose che conosce da quando gli è capitato di nascere a Monterrey, nel nord del Messico, da decenni corridoio della droga verso gli Usa e ora regno di "persone che hanno fatto della morte il proprio stile di vita". E appunto "il dolore personale, non esibito ma evidente, di essere cresciuto in un clima così sanguinoso è l'aspetto più interessante del libro”. Ma anche qui, pagina dopo pagina, il rischio dell'assuefazione si insinua nel lettore. L'enormità del male descritto nei due libri è sovrastante: “Abbiamo a che fare con un potere così perfettamente organizzato, così pervasivo, che sembra non resti altro che arrendersi”.
Forse per questo Daniela Lasorsa che, avendo lavorato in Colombia, è stata testimone di disperazione e di connivenze (uno dei motivi che l'hanno spinta a leggere il libro di Saviano) sceglie di aprire il suo racconto leggendo una pagina di Zero zero zero sulle tecniche di disumanizzazione imposte dai signori della coca ai loro sudditi, mentre Simona Baldelli chiude il suo con le parole che Osorno, all'inizio della cronica, dedica al giornalismo narrativo, cioè (per usare la definizione di una maestra del genere, Alma Guillermoprieto), la combinazione delle informazioni raccolte “con l'osservazione diretta, con l'analisi dei fatti e con le reazioni personali”. Grazie a questo metodo, scrive Osorno, “le storie che [questo tipo di giornalismo] racconta permettono al lettore di riflettere al di là di facili schematismi, di capire davvero una cosa”.
Il dubbio, per chi ascolta i libri raccontati, è se questo valga per Zero zero zero o per Z – La guerra dei narcos, come fu a suo tempo per A sangue freddo di Truman Capote.

Letture consigliate:
Nanni Balestrini, Sandokan, DeriveApprodi
Marius Szczygiel, Gottland, nottetempo
Alma Guillermoprieto, Cartoline dal continente che non c'è, La Nuova Frontiera

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