venerdì 10 maggio 2013

Una montagna di talenti per il sindaco Siddharta

L'inaugurazione di Plautilla
Nicola Lagioia
Se gli anni Novanta a Roma hanno testimoniato la fioritura dell'editoria indipendente (case editrici come Fazi, Castelvecchi, minimum fax, Fanucci, Voland, Fandango dimostrarono all'epoca la possibilità di un altro mondo rispetto ai grandi gruppi del nord), questi primi scorci di XXI secolo sono stati una continua esplosione di iniziative culturali nate dal basso. Dal teatro al cinema alla musica fino al piccolo ma attivo mondo delle riviste, per non parlare delle librerie indipendenti, dei circoli di lettura, dei festival e dei laboratori, Roma in questi anni è stata un ribollire di iniziative che puntavano tutto sui sacrifici di chi con la cultura lavora quotidianamente, e poco, in certi casi nulla, su coperture istituzionali degne della città che vorremmo essere.
Chi sarà sindaco dopo le elezioni di fine maggio, è bene che comprenda la natura del privilegio che gli è toccato: presidiare la stanza dei bottoni di una delle città potenzialmente più attive sul piano culturale. Ma è anche necessario (guardando al lungo sonno dell'amministrazione ora in scadenza) che il nuovo primo cittadino avverta il rischio di poter essere lui, questa volta, a far sì che la montagna di talenti da cui siamo circondati partorisca un topolino.
Non ci vuole molto perché un'amministrazione incompetente trasformi in deserto una prima fioritura. Basta finanziare i progetti sbagliati, preferire i fedelissimi ai capaci, e soprattutto non conoscere il campo in cui agisce.
Come Siddharta prende coscienza del 
mondo quando abbandona il castello in cui è cresciuto, al nuovo sindaco direi: "Venga fuori dal Palazzo!" Ammesso che accetti il consiglio, lo porterei in giro per Roma, facendogli vedere posti che non conosce, o che conosce forse in quanto voce di campagna elettorale. 

Gli mostrerei ad esempio il Kino, in via Perugia, nato dall'iniziativa di sessanta cinefili che si sono autotassati creando un cinema che è anche un luogo di seminari, dove è possibile vedere i film che altrove non proiettano, incontrare i registi, discutere con loro. Ricorderei al nuovo sindaco che molte stagioni romane memorabili (ricordate le cantine di Carmelo Bene?) sono nate dal basso, e un'amministrazione che avesse a cuore la cultura non lascerebbe a dei volenterosi l'onere di pagare di tasca propria, ma avrebbe indetto un bando per mettere i locali pubblici in disuso a disposizione dei migliori di questi progetti.
Lo porterei quindi all'Esquilino, dove si muove il collettivo dei Piccoli Maestri. Lui, il futuro primo cittadino, non saprebbe di che si tratta. Gli spiegherei allora che un gruppo di scrittori (sul modello dell'iniziativa di Dave Eggers a San Francisco) si è organizzato per creare una scuola pomeridiana per i ragazzi delle superiori. Risultato: a neanche due anni dalla fondazione, non si contano gli istituti scolastici che ne chiedono l'aiuto. Il futuro sindaco domanderebbe sospettoso: "Ma quanto si fanno pagare per queste lezioni?" Sorriderei abbassando gli occhi: "Insegnano gratis, è una forma di volontariato". Poi aggiungerei che tanta generosità meriterebbe la sede che Piccoli Maestri neanche ha. Tenendo conto di che occasione d'integrazione sarebbe in un quartiere come l'Esquilino, non bisognerebbe coglierla al volo? Anche perché, non distante da qui, spiegherei, c'è la redazione de "Gli Asini", la bellissima rivista di intervento sociale nata da una costola dello "Straniero", animata da un gruppo di educatori e pedagogisti abituati a svolgere un'eroica attività sui temi della formazione, nella totale assenza (meglio: nella pessima presenza) di chi su queste faccende dovrebbe intervenire in via ufficiale.
Il futuro sindaco di Roma avrà probabilmente sentito parlare del Valle. Ma al di là delle infinite possibilità di strumentalizzazione cui ormai il caso si presta, gli chiederei se ha avuto modo di assistere a uno dei più intensi spettacoli europei degli ultimi anni, l'Alcina del Teatro delle Albe, che proprio al Valle andò in scena (gratuitamente) non molto tempo fa. Ammonendo il neoeletto sulla necessità che la politica sostenga l'arte e non il contrario, gli illustrerei la situazione da fame in cui versa la maggior parte dei teatri e delle produzioni indipendenti cittadine. Per evitargli l'imbarazzo dell'ignoranza, lo porterei a conoscere Monteverde Legge, l'associazione culturale che si riunisce intorno al Dipartimento di Salute Mentale di via Colautti, e che organizza laboratori di lettura, corsi di traduzione e alfabetizzazione, mischiando persone segnate dal disagio psichico agli abitanti del quartiere. Potrei ricordare al sindaco che a Roma lavorano bibliotecari che - se non fossero stati abbandonati dal Palazzo - trasformerebbero i propri spazi in altrettante sacche di welfare culturale, gruppi di riflessione di prim'ordine (da Se Non Ora Quando a Tq), bravi librai che rischiano di chiudere, veri e propri patrimoni nazionali (basti pensare alla casa editrice Laterza, o a Radio3) da cui chi in città comanda dovrebbe umilmente ritenere di avere da imparare.
Potrei trovarne altre decine, di questi esempi, ma siccome non mi illudo che - chiusi nel palazzo di Siddharta - i nostri rappresentanti recuperino in poche settimane il terreno perso durante gli anni, li porterei riflettere sulla distanza drammatica che separa i governanti dai comuni cittadini. Non chiederei di conseguenza al nuovo sindaco di avventurarsi in ciò di cui sicuramente non è esperto. Ma di affidare la cultura di Roma pescando non dai notabili o dai nomi altisonanti ma dalla società civile, tra gli uomini e le donne che ne stanno garantendo la sopravvivenza malgrado chi, pagato per darle una dimensione europea, ha rischiato di ridurla a sagra di provincia.

Questo articolo è uscito nelle pagine romane della "Repubblica" venerdì 10 maggio 2013. Grazie a Nicola Lagioia per averci consentito di ripubblicarlo (e  per aver ricordato Monteverdelegge)

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